Secondo me la genialità di Laudato
Si' è stata quella di rilanciare una visione.
Francesco di oggi, con le
parole del Francesco fondatore, ha rilanciato una visione del mondo che è
quella che dobbiamo avere necessariamente per governare i processi e poi (credo
che l'abbia colto già Elisabetta Forni) si è voluto rivolgere ad un mondo a lui
più vicino che è anche istituzione per dire guardate che veramente la situazione è messa male.
Se non diventiamo una componente importante che
veicola questa cosa tutto continuerà a
degradarsi, tutto continuerà a peggiorare e qui c'è un problema: tutte le istituzioni oggi sono state messe in
crisi dalla finanziarizzazione.
Io sono d'accordo che non è che quando c'era
capitale industriale invece che capitale finanziario le cose fossero diverse
però non c'è mai stata, come in questo momento, la penetrazione. Il discorso
poi è un discorso di scelte, un discorso di politica nel senso di polis, ma
quelli che difendiamo questo concetto di polis forse siamo il mondo in qualche
modo rappresentato anche qui dentro e altri sono lontanissimi da questo.
Un personaggio che
rappresenta oggi molto bene questo è quello che è stato sindaco di Torino,
presidente della fondazione Banco S.Paolo e poi presidente della regione.
L'attenzione qual è? Che ognuno per le sue istituzioni deve stare attento, c'è
una penetrazione della finanza nell'economia e nella politica - che non vuol
dire solo la politica istituzionale - vuol dire penetrazione nelle istituzioni
qualsiasi, sono nell'università, nella sanità... Arriva un momento in cui ti
chiedi conviene di più continuare a battersi per le cose giuste o conviene
aderire a questo sistema? Questo è uno dei problemi che ci sono ma non credo
sia la cosa più importante.
Il discorso che abbiamo cominciato a fare ieri è
una domanda fortissima di politica nuova e questo deve essere tenuto nel giusto
conto, però io credo che la genialità dell'operazione Laudato Sì' è
stata quella di recuperare con le parole di Francesco una serie di posizioni
che nella comunità scientifica erano presenti – e in larghi pezzi poi nel mondo
ambientalista, di chi difende il territorio ecc - erano presenti da tempo e di
dargli una forma di visione generale. Che poi ci sia questa circostanza per cui
i ragazzi, tra l'altro non provenienti dalla stesse esperienze, hanno colto
questa cosa e venerdì santo la ragazzina svedese che ha lanciato questo allarme
clima / difendiamo l'ambiente, va a Roma. Non so, non mi pare che ancora sia
previsto un incontro su questa cosa, però credo che sia una di quelle cose
positive che permettono anche di smuovere una certa tendenza alla penetrazione.
Il mio tema era un tema che è
stato rilanciato negli ultimi anni da Salvatore Settis, Tomaso Montanari, già
citato ieri, Guido Viale che è stato qui ed altri che dicevano che il futuro
del bel Paese è nel bel Paese. Bel Paese era il modo con cui, prima di
Fortebraccio - il notista ironico de L'Unità - molto prima, i
viaggiatori del Gran Tour da Byron a Chateaubriand, tutti quelli che sono
venuti tra settecento e ottocento (molti si sono fermati qui), amavano
l'Italia.
Del resto a parte il paesaggio che abbiamo fatto di tutto per
distruggere, ma ancora presenta aspetti incredibilmente belli, io amo leggere in
treno e mentre venivo da Roma ad un certo punto ho messo da parte la lettura e
mi sono messo a guardare fuori la verde Umbria che poi si scopre come diceva un
attimo fa il monsignore attenzione ai pesticidi alla chimica ecc perché se
muoiono cani e gatti...
Questa posizione italiana
degli ultimi anni che ricorda - noi abbiamo oltre il 60% dei beni artistici
storico culturali del mondo - abbiamo uno dei più grandi paesaggi del mondo, ma
non riusciamo a farne una grande voce in economia, ma questa è la
interpretazione, tra l'altro aggiornata, di letture che vengono avanti in
urbanistica, economia, in sociologia,
antropologia ecc da molti anni.
Il passaggio dall'economia
alla finanza rappresenta il fatto.
Basta leggersi Piketty che spiegava perché sono tornate di attualità le analisi marxiste, perché tra l'altro ci
siamo accorti che in un discorso keynesiano chi non gestiva il gioco si
pigliava le briciole, ma si pigliava almeno le briciole, qualche ricaduta
c'era, quando ci spostiamo dall'altra parte, quando tutto diventa gioco
finanziario allora è come diceva Tiziano prima: siamo alla corte del re Sole,
ci sono alcuni, pochissimi l'1% diceva Toni Atkinson, che partecipano a questo
gioco e si spartiscono questo gioco drenando continuamente risorse di tutti noi
che però siamo esclusi completamente da questo gioco, un buco nero in cui si
distruggono risorse reali per trasformare in risorse di un gioco.
Io ho studiato a Torino, il
terzo giorno che ero al Poli entrò Beppe Gemonat che era il figlio del filosofo
che insegnava matematica e ci fece un'ottima lezione non di analisi
matematica e ci disse: “Ricordatevi che
avete 4 lettere sulla testa, Fabbrica Italiana Automobili Torino”, poi io
facevo civile e poi addirittura ho fatto urbanistica quindi... ma mi è servita
quella lezione perché noi abbiamo un territorio nazionale che è stato
condizionato dai grandi monopolismi industriali, è stato condizionato dal fatto
che prima della prima guerra mondiale il bisnonno di questa famiglia è andato
dal primo ministro e ha detto: “Io mi assumo tutto quello, (era stata la prima
crisi del settore automobilistico) noi siamo in grado spostandoci da Como a
Torino ad assumerci tutte queste aziende in crisi però voglio una politica
protezionistica”. Il protezionismo
italiano si è esteso non solo al settore auto ma a quello che serviva per il
settore auto, cioè al settore infrastrutturale fino al territorio e
all'urbanistica. A Firenze se si fosse costruito il passante ferroviario quando
era stato proposto la prima volta, cioè all'indomani della seconda guerra
mondiale, i problemi sarebbero stati sostanzialmente gli stessi, perché il
bacino dell'Arno ha la delicatezza che ha, la granulometria del terreno è
quella che è e lì attraversava case che erano già state costruite tra l'unità
d'Italia e le due guerre però, in molte altre realtà italiane, quello era il
momento di fare le grandi infrastrutture urbane come è avvenuto nel nord Europa
dove abbiamo le ferrovie urbane, le autostrade urbane dettate però dalla pianificazione,
come in nord America. No, noi in quel momento abbiamo dovuto privilegiare il
trasporto su gomma, era lì la libertà di trasporto privato e quindi
praticamente con quello che Secchi, Bernardo Secchi un grande urbanista che ci
ha lasciato l'anno scorso, chiamava la crescita spontanea incrementale della
città italiana era una perfetta convergenza al monopolista automobilistico,
che d'altra parte è stato monopolismo che ha poi interessato tutta la grande
industria italiana che è stata tutta una grande industria di monopolisti pigri;
gli industriali non avevano bisogno di investire perché controllavano i settori
oppure erano il settore pubblico quando poi è nata l'IRI, che ha dovuto salvare
tutto e poi l'ENI e poi la Montedison
che erano carrozzoni che però dominavano il settore, non c'è mai stato bisogno
di fare concorrenza.
Questo ha fatto dimenticare
che noi stavamo nel Paese in cui più che altrove dovevamo rispettare la regola
ambientale per fare la regola insediativa. Emilio Sereni quando scrisse Storia
del paesaggio agrario italiano, che in realtà è una storia del territorio
italiano, in cui si sono formati
generazioni di urbanisti, notava questo: noi stiamo non solo cambiando modello
di sviluppo ma abbandonando le regole che ci dà il territorio, le regole dei
nostri padri e dei nostri nonni che erano regole geniali perché erano modi di
intervenire che tenevano conto delle caratteristiche dell'ambiente e del
paesaggio.
E qui andiamo a discorsi più
ampi che non sono solo italiani, che sono stati ripresi nell'ultimo periodo. In
Italia questo è stato così evidente che dovevamo costruire cose che per qualche
aspetto erano utili, l'Autostrada del Sole, nessuno nega l'utilità
dell'Autostrada del Sole oppure la costruzione della rete ferroviaria, ma poi
molte opere inutili per inseguire e organizzare lo spazio per l'auto, e poi tra
l'altro è stato divertente quando, buonanima (è mancato anche lui) oltre 100
anni il rappresentante di quella che aveva cambiato nome dice: “Noi ce ne
andiamo da Torino e dall'Italia, non dobbiamo niente alla stato italiano, siamo
sempre stati autosufficienti!” ha detto Marchionne. Loro hanno avuto non solo
una politica protezionistica nel settore ma pure in tutto il settore
termomeccanico e nucleare, una politica monopolistica che ha condizionato la
politica industriale italiana per 120 anni e ha condizionato la politica
territoriale ambientale italiana per 120 anni e lui, buonanima, se n'è andato.
La cosa importante è cogliere
questo fatto che coglieva Emilio Serene per questa convergenza tra l'interesse
del trasporto su gomma e l'interesse di quello che ci ha raccontato Francesco
Rosi Le mani sulla città. La rendita edilizia è diventata rendita urbana
che è diventata rendita industriale, rendita commerciale, poi rendita finanziaria.
Quello che racconta, Benjamin ce l'ha raccontato negli anni trenta prefigurando molto, perché la città è illusoriamente bella nei passaggi parigini? E ha parlato di questo, il
capitalismo estetico. Perché si traveste di bello quello su cui interessa
fare profitto e allora prima era costruire l'insediamento abitativo
interessante, poi è stata la fase dell'industria interessante, poi la fase del
commercio interessante, poi la fase che deve essere grossa e fine a sè stessa
inventandoci anche robe bizzarre. Stefano Boeri, nostro collega e il suo “bosco
verticale” è una contraddizione in termini, lo dico sempre. Il
premiatissimo bosco verticale, se andate
a Milano trovate questi grattacieli che non si sa perché ci debbano
essere se non per quello che ha detto Rem Koolhaas, grande architetto europeo
che lavora negli Stati uniti, che ha detto “Purtroppo noi siamo ridotti a fare
i cantori del grande capitale che deve costruire queste grandi cose e noi o ci
opponiamo e allora ci resta da disegnare solo le cose piccole, oppure dobbiamo
fare i cantori del grande capitale”, è qua la grande rottura che c'è rispetto
al territorio. Emilio Sereni si lamentava che noi abbiamo urbanizzato senza
rispettare più le regole territoriali, ambientali e paesaggistiche poi siamo
passati alla fase in cui abbiamo cominciato a costruire delle cose che non
c'entravano niente con la domanda sociale.
Io sto in una università,
l'urbanistica che ti insegna al primo giorno che lo studente entra, la prima
cosa che gli diciamo è che qualsiasi oggetto di cui discutiamo deve avere una
domanda sociale, se non ha una domanda sociale è sicuramente inutile per il
territorio.
Guglielmo Zambrini che era un
ingegnere dei trasporti, tra le altre cose ha fatto il passante di Milano,
molti piani dei trasporti della mobilità nazionali regionali e locali, lui
diceva: “Non si può fare mobilità senza la pianificazione”. Lui era uno di
quelli che diceva negli anni 60: “Guardate che è adesso che bisogna fare le
grandi infrastrutture urbane, tra qualche anno non ci sarà più lo spazio per
farle, avranno un 'impatto insostenibile”; (e su cui ci siamo formati, anche lì
molti urbanisti), iniziava i suoi corsi di pianificazione ai trasporti dicendo:
“Un'infrastruttura è tale se risponde a una domanda sociale proveniente da quel
territorio se no è una sottostruttura inutile ingombro per l'ambiente e il
contesto sociale di riferimento”. Noi stiamo parlando oggi di grandi operazioni
che finanziano sottostrutture, forse ieri, oggi c'è la nuova frontiera che è
quella di dire che si fanno le cose e dimostrare che si stanno facendo. Vi
ricordate la vignetta che è uscita sul Corriere della Sera alla vigilia
della cancellazione ufficiale del progetto del ponte sullo stretto di Messina: c'erano
due che stavano su una macchina sotto acqua “Te l'avevo detto che non l'avevano
fatto”, perché il sistema mediatico raccontava che una cosa, che non aveva mai
avuto il progetto esecutivo a fronte di quarant'anni di progettazione continua,
per cui la battuta dei colleghi era “Basta lauree in ingegneria, architettura e
urbanistica, facciamo la laurea in progettista del ponte sullo Stretto”; lavora
sempre non finisce mai, lavoro sempre garantito, da qualche parte ti finanziano
le cose ecc. Loro sono riusciti a spendere quanto un quartiere realizzato, 520
milioni senza mai fare il progetto vero con una prescrizione storica del
Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici che diceva “Per iniziare anche i
precantieri vista la delicatezza dell'opera bisogna fare il progetto
esecutivo”. Il progetto esecutivo mai fatto, ed è finita con una presa di
coscienza del capoprogetto che era Remo Calzone, decano della tecnica delle
costruzioni delle infrastrutture a Roma, che ha scritto a tutti i ministri e al
presidente del Consiglio mentre c'era il passaggio tra Berlusconi e Monti, ha
scritto “Il progetto esecutivo non è mai stato fatto perché non si poteva fare, perché è vero quello che dicono i tecnici e non noi che siamo urbanisti e
pianificatori”. I nostri colleghi tecnici delle costruzioni però erano dalla
nostra parte, “guardate che ci sono una trentina di parametri critici di cui 15
insormontabili”.
Però ci hanno raccontato fino a ieri che stavano cominciando i
lavori, o come il buco vostro. Il buco vostro è una bella storia perché doveva
essere un buco esplorativo (c'è anche il dibattito: sono cominciati i lavori?
Non sono cominciati? Se stanno facendo i contratti ora. con la clausola
resistoria non dovrebbero essere cominciati) doveva essere un buco esplorativo
e poi si chiudeva e poi in parte restava in servizio se mai l'opera si fosse
fatta. Il nodo qual è: che questo buco esplorativo doveva costare mediamente a
metro lineare circa un centesimo di
ordine di grandezza dell'opera, andate a vedere quanto è costato; certo non
prevedevano di dover fare le postazioni per le televisioni e la stabilizzazione perché doveva arrivare la telecamera, cioè sta costando un ordine di grandezza
simile a quello che costerebbe l'opera, perciò su questo equivoco giocano per
dire che i lavori sono già iniziati. Salvini è andato dentro, no Salvini è
andato dentro questo buco che sarà richiuso e non fa parte dell'opera
strutturale, però sta costando più o meno quanto l'opera strutturale. Bel
regalo della Legge Obiettivo! Non si fanno più i bilanci a consuntivo. Se io
devo fare una finestra per lui e gli faccio un preventivo di 100 euro e poi gli
presento un conto di 1000 lui mi chiama i danni e non solo non mi paga, mi
denuncia per tentato di truffa invece no, la Legge Obiettivo ha creato questa
convergenza, questo blocco assoluto tra lo Stato e per esso il concessionario e
le imprese cioè il General Contractor, che capiscono immediatamente che il vero
gioco è portare più soldi possibile prima nell'opera. Allora che facciamo?
Semplifichiamo i progetti, non facciamo o facciamo all'acqua di rosa la
Valutazione di Impatto Ambientale e succede che la Legge Obiettivo ci dissemina
il Paese di 600 opere a vari livelli incompiute che tutta quella grande stampa
di cui si diceva prima racconta: la colpa è della odiata burocrazia, dei
comitati, degli ambientalisti, dei gruppi locali, ora dei 5 Stelle. Non è vero
niente, erano tutti fermi prima. Erano fermi prima perché quando si è andati a
fare delle cose sbagliate, ci sono stati danni che è intervenuta la
magistratura, oppure ci siamo accorti che il progetto era fatto per non essere
realizzato e quindi è difficile poi realizzarlo.
In questo i berluscones erano
dei campioni a fare cose che non si dovevano fare e a trasformare i problemi in
affari perché a Firenze (guardate l'Espresso di questa settimana in edicola da oggi c'è un articolo sulle
incompiute di Firenze). A Firenze senza mai fare un cm di galleria si sono
spesi quasi tutti i soldi dell'appalto. Perché? Perché c'è un sistema
ipergarantista all'impresa così io ti do l'incarico, ti affido i lavori, poi
non te li revoco e avrai diritto a indennizzi perché blocchi le maestranze e le
attrezzature, imprevisti, riserve e coperture di tutte le spese che fai, così
non si fa nulla, il sistema è fatto per non fare nulla e trasferire risorse.
Trasferire da chi? Da tutti noi! Come foraggiatori del sistema economico
attraverso il fisco a quei pochi che partecipano al gioco finanziario.
Chiudo questa parte con una
cosa che è ancora un'iniziativa vostra, dei valsusini. Era fatta vicino al
Politecnico, era uno dei tanti dibattiti, noi avevamo e abbiamo ancora un
Osservatorio Nazionale sulle grandi opere, quello che resta della Legge
Obiettivo. Non capisco cosa significa lo Sblocca cantieri, abbiamo chiuso la
Legge Obiettivo perché criminogena poi facciamo lo Sblocca cantieri che con lo
Sblocca Italia di Renzi ne riattiva una buona parte. Non capiscono bene quello
che stanno facendo, nel senso che non è possibile che una forza politica che di
fortuna, probabilmente scopiazzando qua e là tra ambientalisti, comitati ecc
abbia fatto un programma che è quello che serviva per l'Italia cioè lo sviluppo
sostenibile nei territori, poi non si accorge che deve, per essere coerente a
questo programma, lo dico dal loro punto di vista (io non li ho votati),
probabilmente la prossima volta fai il monocolore però per l'interesse di
alcuni, però la prossima volta non ci potevano stare per loro stesse regole fai
un'altra cosa e vai alla dissoluzione, queste sono considerazioni politiche che
escono da questo discorso.
La nuova fase delle grandi
opere probabilmente esplicita è quella di trasferire risorse pubbliche di tutti
dal sistema economico a interessi finanziari privati cioè di chi partecipa a
quel gioco.
Vi dicevo, una lezione, che
si ebbe in uno dei tanti appuntamenti organizzati dal Grande Cortile, ad un
certo punto intervenne un vecchio dirigente della FIAT, in pensione ovviamente,
che ci disse: “Mi complimento, voi ancora ragionate in termini di
programmazione, scelte strategiche, mi dispiace per voi non è più così, adesso
quello che interessa è che una roba sia quotata in borsa quindi deve dare
profitti nel brevissimo periodo”. Ed è fatta da un Consiglio (almeno prima
c'erano le grandi famiglie in Italia, ora non ci sono più) ci sono i Consigli
di Amministrazione in cui chi decide ha un obiettivo di qualche mese, che
volete che interessi il futuro della val di Susa o del futuro del bel
Paese! Allora c'è il problema: quando
c'è questo scontro, questo attacco forsennato di Confidustria che chiama a
militare, a militare! tutta la grande stampa; quando abbiamo un nuovo
segretario di quello che dovrebbe essere il partito che una volta rappresentava
i lavoratori la prima cosa che fa viene da voi, ma non per salutare voi, ma per
dire a tutti io sono il nuovo maggiordomo, non quelli di Firenze con il loro
giro, quelli sono finiti, siamo noi il nuovo maggiordomo. Con una politica così
subalterna a queste cose bisogna trovare nuove forme, iniziative che ci sono.
Il discorso è nell'utilità
che ci chiedeva Zambrini, di una infrastruttura o di una qualsiasi operazione
che riguarda il territorio, ci sta la visione del territorio e allora bisogna
guardare (ieri un po' è stato detto) all'inizio di questa fase di passaggio
dall'economia alla finanza quando prevalevano una rappresentazione generale del
mondo che erano perfettamente coerenti a questo passaggio. Trent'anni fa
Marshall McLuhan tirò fuori una cosa che era incontestabile come ragionamento: il
villaggio globale. E' vero che siamo un villaggio globale, possiamo giocare
in borsa in ogni momento, possiamo andare dove vogliamo a fare viaggi per
studio per lavoro ecc - se abbiamo le risorse per farlo, se no veniamo
respinti, buttati fuori - siamo più interessati tramite i media a ciò che
succede dall'altra parte del globo piuttosto a quello che succede sotto casa
nostra, abbiamo notizie da tutte le parti in ogni momento: siamo un villaggio
globale, però negli anni ottanta già si profilava la questione ambientale,
c'era già stato da 15 anni la Conferenza di Stoccolma, in Italia c'era già il
forte dibattito su nucleare, sulle grandi scelte energetiche, carbone, poi la
grande cascata di opere, nel 64, poi le colombiadi, tutte queste grandi opere
utilissime che servivano e questi sono gli investimenti! Interessante, mentre i
giusti tagli devono essere sanità,
istruzione, università: quelli sono i giusti tagli! Si spende troppo,
questi sono investimenti! Ribattezziamo, e anche questa cosa di fare i
maggiordomi del debito pubblico sancito dagli accordi di Maastricht, sancito da
un'Europa che era già subalterna a queste logiche qui, però il discorso è:
questa rappresentazione del villaggio globale - già diversi studiosi dissero -
è una rappresentazione perfettamente coerente sia al fatto che noi siamo
collegati continuamente con tutto, però lì l'ambiente diventa niente, lì i
luoghi diventano punti e allora il mondo ambientalista (pigliava consistenza in
quel periodo), proprio guardando la Terra vista dalla luna, da quelli che
avevano circumnavigato la luna dicevano che era un'arancia blu - vi fu anche
una rivista che si chiamava Arancia Blu negli anni ottanta - ha detto noi non
dobbiamo pensare ad un villaggio globale fatto solo di relazioni orizzontali,
economiche, sociali, demografiche, spostamenti, di guerra anche, ma tra luogo e
luogo, dobbiamo vedere cosa c'è e quindi venne fuori questa rappresentazione di
Gaia che era una rappresenatazione ambientalista che era già un grosso passo
avanti, ma era una rappresentazione in cui la Valsusa, la Valnerina, lo Stretto
di Messina, la Val d'Arno sono punti, sono sempre e ancora punti.
Le “città globali” di
Saskia Sassen sono relazioni tra grandi centri ma tutto il resto? Allora
cominciò in California, un movimento che prima era scientifico che poi diventò
politico, lanciò EDD Soia - geografia urbana all'università di California San
Francisco, disse ci vuole una rappresentazione diversa certamente dal villaggio
globale ma una diversa anche da Gaia perché noi abbiamo bisogno che i luoghi
siano luoghi. Settis quando dice che l'Italia è una ricchezza, il bel Paese
deve essere valorizzato, deve essere considerato in tutti i suoi luoghi, e poi
Buenos Aires non può avere lo stesso sviluppo di Mosca che non può avere lo
stesso sviluppo di Canberra che non può avere lo stesso sviluppo di New York.
Il villaggio globale ci rendeva appetibile, interessante desiderabile il
modello di vita di New York perché ci presentava le luci di New York, le mille
luci di NY scriveva Mclnerney senza dirci tutti i problemi di malaria
urbana e sociale che c'erano sotto, però tutto il mondo dalle comunità nepalesi
all'interno della Calabria tutti dovevavno guardare lì.
Gli studiosi dello sviluppo
dicono che lo sviluppo è continuamente una freccia che va ad ovest. Oggi è
tornato dov'era 5000 anni fa: la fase più ricca del mondo tra Hong Kong,
Singapore, Pechino e Shangay ma solo settanta anni fa, quando la Società delle
Nazioni è diventata ONU, il triangolo più ricco del mondo era tra Boston New
York e Washington, il corridoio del nord est, e infatti il discorso che fece
Truman alla nascita dell'Onu, disse: “Tutto il mondo deve guardare a questa
freccia dello sviluppo, la freccia del sud perché non tutti diventeranno ricchi
e affermati come i newyorkesi o shingtoniani o bostoniani però ognuno
migliorerà la sua situazione”; in nome di questo siamo andati a esportare
modelli di sviluppo che poi erano progetti sempre più sbagliati che hanno
distrutto le economie del terzo e del quarto mondo.
Bisogna riprendere la
lezione, quando negli stessi anni descritti da Emilio Serene in Italia, quando
nell'urbanizzare l'Italia ci siamo dimenticati della regola ambientale, la
regola paesaggistica, la regola culturale, la regola insediativa. Qualche anno
prima Saverio Muratori aveva detto: “Guardiamo a una triade” - che guardava per
la costruzione di un manufatto - lui
disse: “Dobbiamo proiettarla sul territorio”; c'è stata una lunga fase in cui
abbiamo territorializzato, cioè non è che il territorio è rimasto sempre
naturale, ma non avevamo le condizioni per non adeguarci alla regola
ambientale, per non adeguarci alla regola culturale del territorio, alla regola
paesaggistica; questa è stata la lunga fase della territorializzazione in cui
quando facevamo manufatti li facevamo assolutamente coerenti studiando la
relazione con quella regola. Dalla rivoluzione industriale in poi siamo entrati
in una fase di crescente deterritorializzazione nel senso che ci siamo illusi
(con altre parole c'è anche in Laudato Sì') di avere una tecnologia tale
da poter interpretare fino a stravolgere la regola ambiantale, la regola
insediativa, la regola culturale, la regola paesaggistica del territorio e
invece ad un certo punto ce ne siamo staccati fino alla speranza progettuale di
Tomas Maldonado; forse veramente c'era la buona fede di dire io riesco a
urbanizzare con le nuove tecnologie senza creare eccessivi problemi ambientali,
paesaggistici... Ma poi questa consapevolezza è venuta meno e il segnale l'ha
dato proprio il grande Paese che poi è diventato fino a ieri, forse fino ad
oggi ancora, il Paese più potente economicamente e politicamente del mondo. E'
stato il primo Paese a dire: attenzione, la nostra ricchezza,la ricchezza degli
Stati uniti è stata sempre data dalle risorse dei grandi ambienti, dei grandi
contesti, delle grandi praterie, noi oggi con l'urbanizzazione, lo sviluppo
economico e la crescita economica stiamo mettendo in discussione questo e nel
1969, primi al mondo, si diedero la NPEA ,National Protection Environmental
Act, la legge quadro di protezione dell'ambiente che stabiliva per la prima
volta che per attuare progetti, opere, piani e programmi bisognava fare
valutare l'impatto di questi programmi e qualora l'impatto non fosse stato
positivo o quantomeno nullo il programma non si doveva realizzare. Questo poi
si è sparso un po' da tutte le parti con accezioni diverse, arrivata buon
ultima nel '86 anche l'Italia; però non tanto questo ci doveva far riflettere,
ci doveva far riflettere il fatto che ormai era sancito che avevamo rotto la
regola abbondantemente e quindi tutta questa fase di negazione, degrado, che
prima Muratore e poi Alberto Magnani, professore emerito da noi, sempre accanto
alle sue istanze, lui che veniva da esperienze di potere operaio, era sempre
stato anche un movimentista, accanto alle istanze di ricerca accademica ha
fatto anche istanze di azione sociale. Io sono stato cinque anni in America a
studiare da vicino là dove erano già avanti con questo discorso della
pianificazione ambientale e valutazione di impatto ambientale e poi sono
tornato e sono diventato professore a Firenze proprio perché venivo da fuori e
nasceva allora questo programma che si chiamava già programma territorialista.
Allora lanciammo, tra l'altro la bellissima sera, del gemellaggio no ponte no
tav, Magnani doveva fare questo discorso perchè non è solo una questione di inaugurazione,
è una questione anche pragmatica che in Valsusa decidono i valsusini, ma fu una
sera talmente entusiasmante, passammo dal consiglio comunale di Avigliana al
teatro e poi al palasport, arrivò Gianni Vattimo per dire una cosa, non se ne
accorse nessuno, nelle ore e nell'entusiasmo, nei cori vennero messe un po' da
parte, allora Magnani voleva fare questo discorso: “Non è solo questione di
democrazia elementare è una questione che serve a tutti, senza abitanti non si
può fare nessuna trasformazione del territorio”, che è un discorso pragmatico
che vuol dire non semplicemente un'istanza politica ma una istanza di recupero
di riterritorializzazione, cioè di recupero della sapienza territoriale con cui
lavoravano i nostri nonni e i nostri bisnonni che sfruttavano il territorio -
ma senza i pesticidi e la chimica che muoiono i cani e gatti - e se
un'operazione non andava non la facevano.
I Biscari, che è un insulto a
Firenze, erano una famiglia che nella Firenze dei Medici che si stava
urbanizzando, con tutte le regole di interazione col contado che si
trasformava, con il fiume che c'era (che racconta magnificamente ogni volta un
nostro amico e collega che si chiama Roberto Budini Gattai), il biscari è
rimasto un insulto perché i Medici e gli altri dicevano: guarda che noi
urbanizziamo. Urbanizziamo perché infatti fanno delle cose che sono rimaste
patrimonio dell'umanità per sempre, quei palazzi. Ma loro no: noi siamo
produttori agricoli e continuiamo a tenere il campo, allora: Biscaro! È
diventato addirittura un insulto.
Magnani voleva dire quella
sera che è stato travolto dal gemellaggio no ponte no tav, queste cose qui;
ridare il territorio agli abitanti vuol dire semplicemente ripristinare,
riterritorializzare, capire che non abbiamo futuro se non recuperiamo - con
tutti gli aggiustamenti che vanno fatti - le regole ambientali, le regole
culturali, le regole paesaggistiche, le regole sociali del territorio e non lo
possiamo fare senza gli abitanti.
Oltre a continuare a trovare
le forme più interessanti io penso sia una cosa anche politicamente molto
importante e questo fatto della Laudato sì' e questo fatto che qualche
mese dopo i ragazzi si sono accorti di questa cosa qui. Però sono divertenti
tutti i maggiordomi di questo sistema che dicono si l'ambiente, la
sostenibilità però...finché non ci dà fastidio, lasciateci lavorare come dicono
a Roma; invece no, questo deve essere diventato un dato strutturale.
Questo Paese ha bisogno di
grandi opere, ieri è stato l'anniversario dell'Aquila; la prima grande opera
che dobbiamo fare è la messa in sicurezza del territorio dalla sismica
all'idrogeologia, dagli incendi ecc, ma non solo il territorio non ancora
urbanizzato ma anche il territorio urbanizzato. Ero a Marsiglia per una
conferenza prima di Natale e sono crollati due palazzi, tra l'altro c'era una
studentessa italiana pure coinvolta e noi abbiamo detto ci rammarichiamo. In
Italia siamo in questa situazione, che abbiamo un patrimonio costruito, che è
stato costruito soprattutto negli anni 50, 60 e 70 ed è entrato nella sua fase
matura, una gran parte di questo patrimonio non è nemmeno più gestito perché abbandonato. Noi abbiamo fatto una grande ricerca negli anni scorsi che si
chiamava Riutilizzare l'Italia. Noi abbiamo un appartamento su quattro,
abbiamo circa 33 milioni di appartamenti, sono dati ISTAT, un appartamento su
quattro è vuoto o è inutilizzato infatti noi diciamo non solo dovremmo
accogliere tutti quelli che arrivano, dovremmo accogliere anche quelli che
arriveranno da altrove per i prossimi 50 anni perché abbiamo costruito un'altra
Italia che è lì abbandonata a degradarsi, case e capannoni. Questa estate
drammaticamente ci è stato ricordato che c'è un altro componente
dell'urbanizzazione che abbiamo degradato, che abbiamo lasciato andare, è venuto
giù il ponte Morandi.
Noi abbiamo come rapporto
metri lineari / abitanti il patrimonio di linee di strade, autostrade e
ferrovie più alto del mondo delle nazioni avanzate, ma ovviamente se hai una
risorsa così importante che viene utilizzata tutti i giorni che devi fare? Devi
fare la manutenzione, devi investire le giuste risorse per mantenerle. Allora
la grande opera che serve è una manutenzione del territorio contro i rischi
sismico, idrogeologico, incendi, inquinamento ecc e una manutenzione del costruito,
il patrimonio abitativo e infrastrutturale. Ma tutto questo non si può fare se
tu non parti da una analisi delle condizioni, quindi da piani, programmazione.
Pianificazione è la parola decisiva ed è stata messa da parte perché ad un
certo punto noi siamo andati a liste di opere che dovevano ricostruire l'Italia
dopo il secondo dopoguerra. Molte delle opere di cui stiamo discutendo le aveva
recuperate Berlusconi (salutato da tutti) recuperando i programmi per il
mezzogiorno degli anni 50 e 60 o addirittura dei programmi della ricostruzione, perché Lunardi doveva fare in fretta (fu anche professore da noi), tra le altre
cose fece pure dare un incarico a Firenze e si arrabbiò perché noi ci
opponevamo a che Firenze facesse il consulente di questo programma. “Guarda noi
già lo stiamo studiando il tuo programma, lo stiamo studiando con un altro
taglio e non possiamo essere consulenti tuoi”. Ha avuto l'incarico di due anni
e poi se ne è andato, però ci ha raccontato questa cosa: “Dovevo fare in
fretta” e quindi ha preso pezzi di Cassa per il Mezzogiorno, per il sud
infrastrutture, il ponte sullo stretto, pezzi addirittura dell'Italia della
ricostruzione per improvvisare questo programma che intanto veniva legittimato
mediaticamente.
Però noi dobbiamo chiudere
con queste. Sicuramente lo scontro che c'è in Val di Susa è uno scontro
micidiale perchè è questo mondo che ha beneficiato fino a adesso di tutta
questa situazione a scapito di tutti, che teme che questo beneficio finisce.
I 50000 ieri erano 5000, però
si sono giustificati dicendo tanto ormai sono fatti i contratti. Ci sono state
opere che hanno avuto il permesso di costruzione e si sono fermate, non se ne è
accorto nessuno e si sono fermate senza mai pagare una penale. Nella Legge
Obiettivo non si è mai pagata penale. La penale è l'ultima bandiera di quelli
che non hanno altra cosa cui difendere quando un'opera diventa indifendibile.
Però dobbiamo chiudere con
questo mondo che si rappresenta perché vuole mantenere i privilegi che ha
avuto. Buonanima di Ivan Cicconi, grande studioso delle distorsioni delle
grandi opere dell'alta velocità, ci faceva notare che Impregilo, oggi
Salini-Impregilo, la più grande impresa di costruzioni italiana, la settima del
mondo, vent'anni fa aveva 200.000 unità di maestranze, oggi ne ha 6.000, tutti
gli altri sono diventati dirigenti, facilitatori di progetti cioè passacarte
che, soprattutto, devono svolgere funzione di lobbyng, allora con questo modo
che si sta rappresentando drammaticamente - tra l'altro riportando indietro il
discorso sulle grandi opere - bisogna non chiudere con questo mondo, ma
chiudere con le loro istanze e aprire questa grande fase di
riterritorializzazione del territorio in cui gli abitanti sono gli elementi
centrali.
Vi ringrazio
.