giovedì 30 maggio 2019

“Ama la Terra come Te stesso”



_______________________

Sabato 6 e Domenica 7 aprile 2019
Palazzo comunale della Città di Assisi
Sala della Conciliazione

edizione straordinaria progetto culturale

IL GRANDE CORTILE 
INCONTRO DI STUDIO, APPROFONDIMENTO
E CONDIVISIONE 
sul tema

“Ama la Terra come Te stesso”

organizzato da: 
Cattolici per la Vita della Valle,
Presidio Europa
Controsservatorio Valsusa del Movimento No Tav

la città di Assisi ne ha accordato il Patrocinio. 

www.presidioeuropa.net/blog/?p=19488 
http://cattoliciperlavitadellavalle.blogspot.com/

_____________________________________________



Il convegno aperto ha inteso avvicinare in modo costruttivo, cercando convergenze e possibili azioni comuni, la cultura laica e quella religiosa sulla sempre più pressante esigenza di salvaguardia del Pianeta e degli esseri viventi che lo abitano.

I relatori sono stati chiamati a confrontarsi, tra loro e con il pubblico presente ai lavori, sulle più opportune azioni di contrasto ai cambiamenti climatici, sulla capacità dei Governi di avviarsi concretamente in questa direzione, sul peso che le regole dell’economia hanno su questa deriva ambientale, sugli effetti positivi che una nuova giustizia economica potrebbe portare all’ambiente, sul come l’Essere Umano con la sua cultura razionale e con la sua spiritualità possa intervenire su scelte che cadono su di esso sempre dall’alto, sulle correlazioni tra l’esigenza di pace e reciprocità tra Popoli e rispetto verso la Terra, intesa come parte del Creato.

Messaggio ispiratore di ogni intervento è stata l’enciclica “LAUDATO SI’” di Papa Francesco, attraverso la quale diverse scuole di pensiero hanno potuto mettere a fuoco convergenze e distanze ancora da colmare.

www.presidioeuropa.net/blog/
  http://controsservatoriovalsusa.org/

Il Movimento No Tav, attraverso le sue aree di lavoro specifiche che hanno data corso a questa iniziativa, si identifica come portatore di queste tematiche sin dalle proprie origini.
La storica opposizione ad una linea ferroviaria ad alta velocità tra Torino e Lione ha visto coagulare tra loro esigenze fondamentali quali la tutela ambientale sul territorio, la legittima voce delle comunità coinvolte, la dignità e rispetto delle persone, calpestate con pesanti restrizioni di prerogative costituzionali, il rifiuto di modelli di sviluppo devastanti, la negazione dell’utilità di grandi opere infrastrutturali quando più fini a se stesse che a obiettivi di pubblica utilità, il rifiuto di politiche che in una perdurante stagnazione economica continuano a proporre modelli di crescita infinita, tanto improbabili quanto tangibilmente inefficaci.


Il NO alla più inutile, costosa ed obsoleta delle grandi opere è stato strumento per aprire gli occhi e guardare oltre, strumento che dalla Valle di Susa, ormai da decenni, si è condiviso ovunque, con movimenti di cittadini in Italia e in Europa.


L’orizzonte di osservazione che l’enciclica ha perfettamente individuato e trasmesso a milioni di persone è risultato in piena sintonia con la coraggiosa replica che sin dal 2006 il Movimento No Tav dovette opporre alla sprezzante definizione “nimby”, acronimo inglese di “Non nel mio cortile”.


La Valle di Susa si proclamò in diritto di difendere questo cortile-giardino-casa comune, rivendicandone un’ampiezza che riguardava tutti.
Non nel Nostro cortile perché è così grande che appartiene a tutti
ed è dovere di tutti custodirlo.





                        
interventi sbobinati e trascritti


 introduzione di Paolo Anselmo

 saluto di mons. Renato Boccardo
intervento di Stefania Proietti - sindaco di Assisi
intervento di Guido Viale 
intervento di don Ermis Segatti 
intervento di  Herbert Anders 
intervento di  Enrico Gagliano 
intervento di Gianna De Masi, direttivo del Controsservatorio Valsusa 
intervento di fra Beppe Giunti 
intervento di Elisabetta Forni - sociologa 
intervento di mons. Vittorio Peri 
intervento di Alberto Ziparo
intervento di Maria Luisa Boccacci 

venerdì 24 maggio 2019

Ama la terra come te stesso - Assisi - trascrizione dell'intervento di Maria Luisa Boccacci (non rivista dall'autore)

Innanzitutto vi ringrazio per questo coinvolgimento in questa sede,

Il contributo delle Comunità Laudato si’ all'interno del convegno si focalizza nel presentare l’origine e gli obiettivi del progetto mettendo in luce soprattutto il racconto di un’esperienza che, attingendo dal testo dell’enciclica Laudato si’, intende diffonderlo e concretizzarlo attraverso azioni e pratiche condivise e farne il riferimento per l’impegno delle costituende Comunità.
L’esperienza, avviata all'incirca un anno fa, scaturisce in parte dalla stessa domanda che fa da fil rouge ai molteplici interventi del convegno - Quali azioni intraprendere di fronte al degrado ambientale? - e si inquadra, inoltre, nella prospettiva dell’enciclica Laudato si’ che fa da cornice all'intera iniziativa. Il progetto Comunità Laudato si’ nasce da un irrituale connubio tra un’esperienza ecclesiale, quella della Chiesa di Rieti e del suo vescovo mons. Domenico Pompili, e un’esperienza laica legata a Slow Food e al suo fondatore Carlo Petrini. L’occasione dell’incontro tra i due promotori e ideatori è legata purtroppo alla tragedia del terremoto che ha colpito il Centro Italia nel 2016 e che nel territorio di Amatrice e Accumoli, centri ricadenti nella Diocesi e fortemente danneggiati dagli eventi sismici, ha messo in evidenza il complesso e critico rapporto tra uomo e ambiente. Infatti dopo tanta distruzione e preoccupazione, si è imposto un ripensamento e una riflessione sulle dinamiche che regolano l’ambiente, ma soprattutto sul rapporto tra uomo e ambiente.

Proprio questo binomio tra dimensione sociale e dimensione ambientale viene messo la centro dell’enciclica Laudato si’ che fin da subito è stato il riferimento cui ispirarsi per avviare la riflessione.
Il testo è una vera chiamata in causa per innescare una mobilitazione e un cambiamento concreto che guarda alla nuova visione ecologica, esplicitata dal principio dell’ecologia integrale, che è al contempo una visione sociale, politica e culturale. La proposta del progetto che viene ideato si basa quindi sulla volontà di dare attuazione ai valori e ai principi espressi nella Laudato si’.
Volendo sintetizzare la mission del progetto, questo promuove l’adesione e la conversione a comportamenti, prassi e modi di agire più virtuosi e attenti verso l’ambiente, attraverso la mobilitazione e l’attivismo delle persone che si costituiscono in comunità locali - le Comunità Laudato si’- e che agiscono insieme condividendo una prospettiva e obiettivi comuni rivolti al contesto territoriale in cui si sono costituiti: si fa leva sull'unione e la condivisione per passare dall'azione individuale, comunque importante e necessaria, ad un agire collettivo, quello di tutti gli aderenti alla comunità, che si rivolge innanzitutto al contesto di prossimità.
La Comunità Laudato si’ opera attraverso azioni collettive che sono integrate e ricongiuntive delle dimensioni in cui si declina il principio dell’ecologia integrale, partendo dall'ascolto del territorio e delle istanze locali per incidere con una trasformazione concreta e fattiva. Il progetto si muove su due ambiti prevalenti: da una parte promuove il protagonismo e la pratica diretta delle persone per innescare un cambiamento, dall'altro vuole alimentare l’approfondimento e la riflessione teorica sui temi legati all'ecologia, pertanto promuove anche l’organizzazione di momenti di informazione, divulgazione e sensibilizzazione.

Questi due ambiti operativi vengono portati avanti attraverso tre orientamenti strategici che indirizzano tanto il progetto, per come si struttura in generale, quanto l’agire delle persone delle comunità:
- Thinking global, acting local: si fa riferimento al rapporto globale/locale, ovvero all'invito a considerare le dinamiche ambientali globali non trascurabili per il benessere e le condizioni dei contesti locali, quindi ad essere attenti alle manifestazioni e alle criticità dei singoli territori in cui le comunità si costituiscono in quanto connesse a meccanismi e cambiamenti più ampi rispetto alla dimensione locale.
- Fare insieme, fare condiviso, fare in rete: il tema della condivisione e dell’agire collettivo è centrale per la Comunità, come modalità per sviluppare una dimensione relazionale tra le persone che la costituiscono basata sul principio di reciprocità. Altrettanto centrale è sviluppare la rete tra tutte le realtà costituite in Comunità per trasformare la mobilitazione locale in una scala globale.
- Learning by doing: il processo che si avvia a livello locale attraverso l’agire della Comunità deve essere una occasione di effettivo ripensamento e analisi delle dinamiche sulle quali si interviene e allo stesso tempo deve servire anche come controllo dell’operato che si sta portando avanti per testare l’incidenza delle azioni. Da quando è stato avviato il progetto si sono costituite circa 40 Comunità Laudato si’ in tutta Italia che danno vita al movimento proponendo momenti pubblici di informazione e sensibilizzazione, iniziative di coinvolgimento dei cittadini, collaborazioni con altre associazioni e realtà presenti nei territori per lavorare in sinergia condividendo l’obiettivo comune della cura della casa comune.

Uno degli aspetti che caratterizza il movimento delle Comunità Laudato si’ e lo distingue da altre esperienze nate ispirandosi al messaggio della Laudato si’ è quello di aver individuato nel territorio da cui è scaturita la riflessione e l’elaborazione di questa proposta, ovvero Amatrice, un luogo fisico in cui calare e dare concretezza agli stessi principi e valori dell’enciclica.
Si tratta di un complesso costruito nei primi decenni del 1900, l’Istituto Don Minozzi, nato come orfanotrofio per gli orfani di guerra, che negli anni si è trasformato in una vera cittadella dei giovani in cui generazioni di ragazzi sono state accolte, educate e formate professionalmente. Dopo il sisma, che lo ha danneggiato e in parte distrutto, per volontà della Diocesi di Rieti è stato elaborato un progetto di recupero, rifunzionalizzazione e di ricostruzione ispirato anch’esso ai valori espressi nell'enciclica. Si tratta dell’intervento Casa Futuro - Centro Studi Laudato si’ con il quale si intende dare vita ad un polo che racchiuda una moltitudine di funzioni e di servizi con una forte connotazione legata ai giovani e alla loro formazione sui temi ambientali, nella speranza che questo possa rappresentare l’innesto per la rigenerazione dell’intero territorio.

Per informazioni sul progetto si può visitare il sito www.comunitalaudatosi.org
o la pagina Facebook Comunità Laudato si’


Ama la terra come te stesso - Assisi - trascrizione dell'intervento di Alberto Ziparo (non rivista dall'autore).



Secondo me la genialità di Laudato Si' è stata quella di rilanciare una visione.
Francesco di oggi, con le parole del Francesco fondatore, ha rilanciato una visione del mondo che è quella che dobbiamo avere necessariamente per governare i processi e poi (credo che l'abbia colto già Elisabetta Forni) si è voluto rivolgere ad un mondo a lui più vicino che è anche istituzione per dire guardate che veramente la
situazione è messa male.
Se non diventiamo una componente importante che veicola questa cosa
  tutto continuerà a degradarsi, tutto continuerà a peggiorare e qui c'è un problema: tutte le istituzioni oggi sono state messe in crisi dalla finanziarizzazione.
Io sono d'accordo che non è che quando c'era capitale industriale invece che capitale finanziario le cose fossero diverse però non c'è mai stata, come in questo momento, la penetrazione. Il discorso poi è un discorso di scelte, un discorso di politica nel senso di polis, ma quelli che difendiamo questo concetto di polis forse siamo il mondo in qualche modo rappresentato anche qui dentro e altri sono lontanissimi da questo. 
Un personaggio che rappresenta oggi molto bene questo è quello che è stato sindaco di Torino, presidente della fondazione Banco S.Paolo e poi presidente della regione. L'attenzione qual è? Che ognuno per le sue istituzioni deve stare attento, c'è una penetrazione della finanza nell'economia e nella politica - che non vuol dire solo la politica istituzionale - vuol dire penetrazione nelle istituzioni qualsiasi, sono nell'università, nella sanità... Arriva un momento in cui ti chiedi conviene di più continuare a battersi per le cose giuste o conviene aderire a questo sistema? Questo è uno dei problemi che ci sono ma non credo sia la cosa più importante.
Il discorso che abbiamo cominciato a fare ieri è una domanda fortissima di politica nuova e questo deve essere tenuto nel giusto conto, però io credo che la genialità dell'operazione Laudato Sì' è stata quella di recuperare con le parole di Francesco una serie di posizioni che nella comunità scientifica erano presenti – e in larghi pezzi poi nel mondo ambientalista, di chi difende il territorio ecc - erano presenti da tempo e di dargli una forma di visione generale. Che poi ci sia questa circostanza per cui i ragazzi, tra l'altro non provenienti dalla stesse esperienze, hanno colto questa cosa e venerdì santo la ragazzina svedese che ha lanciato questo allarme clima / difendiamo l'ambiente, va a Roma. Non so, non mi pare che ancora sia previsto un incontro su questa cosa, però credo che sia una di quelle cose positive che permettono anche di smuovere una certa tendenza alla penetrazione.

Il mio tema era un tema che è stato rilanciato negli ultimi anni da Salvatore Settis, Tomaso Montanari, già citato ieri, Guido Viale che è stato qui ed altri che dicevano che il futuro del bel Paese è nel bel Paese. Bel Paese era il modo con cui, prima di Fortebraccio - il notista ironico de L'Unità - molto prima, i viaggiatori del Gran Tour da Byron a Chateaubriand, tutti quelli che sono venuti tra settecento e ottocento (molti si sono fermati qui), amavano l'Italia.
Del resto a parte il paesaggio che abbiamo fatto di tutto per distruggere, ma ancora presenta aspetti incredibilmente belli, io amo leggere in treno e mentre venivo da Roma ad un certo punto ho messo da parte la lettura e mi sono messo a guardare fuori la verde Umbria che poi si scopre come diceva un attimo fa il monsignore attenzione ai pesticidi alla chimica ecc perché se muoiono cani e gatti...
Questa posizione italiana degli ultimi anni che ricorda - noi abbiamo oltre il 60% dei beni artistici storico culturali del mondo - abbiamo uno dei più grandi paesaggi del mondo, ma non riusciamo a farne una grande voce in economia, ma questa è la interpretazione, tra l'altro aggiornata, di letture che vengono avanti in urbanistica, economia,  in sociologia, antropologia ecc da molti anni.
Il passaggio dall'economia alla finanza rappresenta il fatto.
Basta leggersi Piketty che spiegava perché sono tornate di attualità le analisi marxiste, perché tra l'altro ci siamo accorti che in un discorso keynesiano chi non gestiva il gioco si pigliava le briciole, ma si pigliava almeno le briciole, qualche ricaduta c'era, quando ci spostiamo dall'altra parte, quando tutto diventa gioco finanziario allora è come diceva Tiziano prima: siamo alla corte del re Sole, ci sono alcuni, pochissimi l'1% diceva Toni Atkinson, che partecipano a questo gioco e si spartiscono questo gioco drenando continuamente risorse di tutti noi che però siamo esclusi completamente da questo gioco, un buco nero in cui si distruggono risorse reali per trasformare in risorse di un gioco.
Io ho studiato a Torino, il terzo giorno che ero al Poli entrò Beppe Gemonat che era il figlio del filosofo che insegnava matematica e ci fece un'ottima lezione non di analisi matematica  e ci disse: “Ricordatevi che avete 4 lettere sulla testa, Fabbrica Italiana Automobili Torino”, poi io facevo civile e poi addirittura ho fatto urbanistica quindi... ma mi è servita quella lezione perché noi abbiamo un territorio nazionale che è stato condizionato dai grandi monopolismi industriali, è stato condizionato dal fatto che prima della prima guerra mondiale il bisnonno di questa famiglia è andato dal primo ministro e ha detto: “Io mi assumo tutto quello, (era stata la prima crisi del settore automobilistico) noi siamo in grado spostandoci da Como a Torino ad assumerci tutte queste aziende in crisi però voglio una politica protezionistica”.  Il protezionismo italiano si è esteso non solo al settore auto ma a quello che serviva per il settore auto, cioè al settore infrastrutturale fino al territorio e all'urbanistica. A Firenze se si fosse costruito il passante ferroviario quando era stato proposto la prima volta, cioè all'indomani della seconda guerra mondiale, i problemi sarebbero stati sostanzialmente gli stessi, perché il bacino dell'Arno ha la delicatezza che ha, la granulometria del terreno è quella che è e lì attraversava case che erano già state costruite tra l'unità d'Italia e le due guerre però, in molte altre realtà italiane, quello era il momento di fare le grandi infrastrutture urbane come è avvenuto nel nord Europa dove abbiamo le ferrovie urbane, le autostrade urbane dettate però dalla pianificazione, come in nord America. No, noi in quel momento abbiamo dovuto privilegiare il trasporto su gomma, era lì la libertà di trasporto privato e quindi praticamente con quello che Secchi, Bernardo Secchi un grande urbanista che ci ha lasciato l'anno scorso, chiamava la crescita spontanea incrementale della città italiana era una perfetta convergenza al monopolista automobilistico, che d'altra parte è stato monopolismo che ha poi interessato tutta la grande industria italiana che è stata tutta una grande industria di monopolisti pigri; gli industriali non avevano bisogno di investire perché controllavano i settori oppure erano il settore pubblico quando poi è nata l'IRI, che ha dovuto salvare tutto e poi l'ENI  e poi la Montedison che erano carrozzoni che però dominavano il settore, non c'è mai stato bisogno di fare concorrenza. 

Questo ha fatto dimenticare che noi stavamo nel Paese in cui più che altrove dovevamo rispettare la regola ambientale per fare la regola insediativa. Emilio Sereni quando scrisse Storia del paesaggio agrario italiano, che in realtà è una storia del territorio italiano, in cui si  sono formati generazioni di urbanisti, notava questo: noi stiamo non solo cambiando modello di sviluppo ma abbandonando le regole che ci dà il territorio, le regole dei nostri padri e dei nostri nonni che erano regole geniali perché erano modi di intervenire che tenevano conto delle caratteristiche dell'ambiente e del paesaggio.
E qui andiamo a discorsi più ampi che non sono solo italiani, che sono stati ripresi nell'ultimo periodo. In Italia questo è stato così evidente che dovevamo costruire cose che per qualche aspetto erano utili, l'Autostrada del Sole, nessuno nega l'utilità dell'Autostrada del Sole oppure la costruzione della rete ferroviaria, ma poi molte opere inutili per inseguire e organizzare lo spazio per l'auto, e poi tra l'altro è stato divertente quando, buonanima (è mancato anche lui) oltre 100 anni il rappresentante di quella che aveva cambiato nome dice: “Noi ce ne andiamo da Torino e dall'Italia, non dobbiamo niente alla stato italiano, siamo sempre stati autosufficienti!” ha detto Marchionne. Loro hanno avuto non solo una politica protezionistica nel settore ma pure in tutto il settore termomeccanico e nucleare, una politica monopolistica che ha condizionato la politica industriale italiana per 120 anni e ha condizionato la politica territoriale ambientale italiana per 120 anni e lui, buonanima, se n'è andato.
La cosa importante è cogliere questo fatto che coglieva Emilio Serene per questa convergenza tra l'interesse del trasporto su gomma e l'interesse di quello che ci ha raccontato Francesco Rosi Le mani sulla città. La rendita edilizia è diventata rendita urbana che è diventata rendita industriale, rendita commerciale, poi rendita finanziaria. Quello che racconta, Benjamin ce l'ha raccontato  negli anni trenta prefigurando molto, perché la città è illusoriamente bella nei passaggi parigini? E ha parlato di questo, il capitalismo estetico. Perché si traveste di bello quello su cui interessa fare profitto e allora prima era costruire l'insediamento abitativo interessante, poi è stata la fase dell'industria interessante, poi la fase del commercio interessante, poi la fase che deve essere grossa e fine a sè stessa inventandoci anche robe bizzarre. Stefano Boeri, nostro collega e il suo “bosco verticale” è una contraddizione in termini, lo dico sempre. Il premiatissimo bosco verticale, se andate  a Milano trovate questi grattacieli che non si sa perché ci debbano essere se non per quello che ha detto Rem Koolhaas, grande architetto europeo che lavora negli Stati uniti, che ha detto “Purtroppo noi siamo ridotti a fare i cantori del grande capitale che deve costruire queste grandi cose e noi o ci opponiamo e allora ci resta da disegnare solo le cose piccole, oppure dobbiamo fare i cantori del grande capitale”, è qua la grande rottura che c'è rispetto al territorio. Emilio Sereni si lamentava che noi abbiamo urbanizzato senza rispettare più le regole territoriali, ambientali e paesaggistiche poi siamo passati alla fase in cui abbiamo cominciato a costruire delle cose che non c'entravano niente con la domanda sociale.

Io sto in una università, l'urbanistica che ti insegna al primo giorno che lo studente entra, la prima cosa che gli diciamo è che qualsiasi oggetto di cui discutiamo deve avere una domanda sociale, se non ha una domanda sociale è sicuramente inutile per il territorio.
Guglielmo Zambrini che era un ingegnere dei trasporti, tra le altre cose ha fatto il passante di Milano, molti piani dei trasporti della mobilità nazionali regionali e locali, lui diceva: “Non si può fare mobilità senza la pianificazione”. Lui era uno di quelli che diceva negli anni 60: “Guardate che è adesso che bisogna fare le grandi infrastrutture urbane, tra qualche anno non ci sarà più lo spazio per farle, avranno un 'impatto insostenibile”; (e su cui ci siamo formati, anche lì molti urbanisti), iniziava i suoi corsi di pianificazione ai trasporti dicendo: “Un'infrastruttura è tale se risponde a una domanda sociale proveniente da quel territorio se no è una sottostruttura inutile ingombro per l'ambiente e il contesto sociale di riferimento”. Noi stiamo parlando oggi di grandi operazioni che finanziano sottostrutture, forse ieri, oggi c'è la nuova frontiera che è quella di dire che si fanno le cose e dimostrare che si stanno facendo. Vi ricordate la vignetta che è uscita sul Corriere della Sera alla vigilia della cancellazione ufficiale del progetto del ponte sullo stretto di Messina: c'erano due che stavano su una macchina sotto acqua “Te l'avevo detto che non l'avevano fatto”, perché il sistema mediatico raccontava che una cosa, che non aveva mai avuto il progetto esecutivo a fronte di quarant'anni di progettazione continua, per cui la battuta dei colleghi era “Basta lauree in ingegneria, architettura e urbanistica, facciamo la laurea in progettista del ponte sullo Stretto”; lavora sempre non finisce mai, lavoro sempre garantito, da qualche parte ti finanziano le cose ecc. Loro sono riusciti a spendere quanto un quartiere realizzato, 520 milioni senza mai fare il progetto vero con una prescrizione storica del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici che diceva “Per iniziare anche i precantieri vista la delicatezza dell'opera bisogna fare il progetto esecutivo”. Il progetto esecutivo mai fatto, ed è finita con una presa di coscienza del capoprogetto che era Remo Calzone, decano della tecnica delle costruzioni delle infrastrutture a Roma, che ha scritto a tutti i ministri e al presidente del Consiglio mentre c'era il passaggio tra Berlusconi e Monti, ha scritto “Il progetto esecutivo non è mai stato fatto perché non si poteva fare, perché è vero quello che dicono i tecnici e non noi che siamo urbanisti e pianificatori”. I nostri colleghi tecnici delle costruzioni però erano dalla nostra parte, “guardate che ci sono una trentina di parametri critici di cui 15 insormontabili”.
Però ci hanno raccontato fino a ieri che stavano cominciando i lavori, o come il buco vostro. Il buco vostro è una bella storia
perché doveva essere un buco esplorativo (c'è anche il dibattito: sono cominciati i lavori? Non sono cominciati? Se stanno facendo i contratti ora. con la clausola resistoria non dovrebbero essere cominciati) doveva essere un buco esplorativo e poi si chiudeva e poi in parte restava in servizio se mai l'opera si fosse fatta. Il nodo qual è: che questo buco esplorativo doveva costare mediamente a metro lineare circa  un centesimo di ordine di grandezza dell'opera, andate a vedere quanto è costato; certo non prevedevano di dover fare le postazioni per le televisioni e la stabilizzazione perché doveva arrivare la telecamera, cioè sta costando un ordine di grandezza simile a quello che costerebbe l'opera, perciò su questo equivoco giocano per dire che i lavori sono già iniziati. Salvini è andato dentro, no Salvini è andato dentro questo buco che sarà richiuso e non fa parte dell'opera strutturale, però sta costando più o meno quanto l'opera strutturale. Bel regalo della Legge Obiettivo! Non si fanno più i bilanci a consuntivo. Se io devo fare una finestra per lui e gli faccio un preventivo di 100 euro e poi gli presento un conto di 1000 lui mi chiama i danni e non solo non mi paga, mi denuncia per tentato di truffa invece no, la Legge Obiettivo ha creato questa convergenza, questo blocco assoluto tra lo Stato e per esso il concessionario e le imprese cioè il General Contractor, che capiscono immediatamente che il vero gioco è portare più soldi possibile prima nell'opera. Allora che facciamo? Semplifichiamo i progetti, non facciamo o facciamo all'acqua di rosa la Valutazione di Impatto Ambientale e succede che la Legge Obiettivo ci dissemina il Paese di 600 opere a vari livelli incompiute che tutta quella grande stampa di cui si diceva prima racconta: la colpa è della odiata burocrazia, dei comitati, degli ambientalisti, dei gruppi locali, ora dei 5 Stelle. Non è vero niente, erano tutti fermi prima. Erano fermi prima perché quando si è andati a fare delle cose sbagliate, ci sono stati danni che è intervenuta la magistratura, oppure ci siamo accorti che il progetto era fatto per non essere realizzato e quindi è difficile poi realizzarlo. 
In questo i berluscones erano dei campioni a fare cose che non si dovevano fare e a trasformare i problemi in affari perché a Firenze (guardate l'Espresso di questa settimana  in edicola da oggi c'è un articolo sulle incompiute di Firenze). A Firenze senza mai fare un cm di galleria si sono spesi quasi tutti i soldi dell'appalto. Perché? Perché c'è un sistema ipergarantista all'impresa così io ti do l'incarico, ti affido i lavori, poi non te li revoco e avrai diritto a indennizzi perché blocchi le maestranze e le attrezzature, imprevisti, riserve e coperture di tutte le spese che fai, così non si fa nulla, il sistema è fatto per non fare nulla e trasferire risorse. Trasferire da chi? Da tutti noi! Come foraggiatori del sistema economico attraverso il fisco a quei pochi che partecipano al gioco finanziario.
Chiudo questa parte con una cosa che è ancora un'iniziativa vostra, dei valsusini. Era fatta vicino al Politecnico, era uno dei tanti dibattiti, noi avevamo e abbiamo ancora un Osservatorio Nazionale sulle grandi opere, quello che resta della Legge Obiettivo. Non capisco cosa significa lo Sblocca cantieri, abbiamo chiuso la Legge Obiettivo perché criminogena poi facciamo lo Sblocca cantieri che con lo Sblocca Italia di Renzi ne riattiva una buona parte. Non capiscono bene quello che stanno facendo, nel senso che non è possibile che una forza politica che di fortuna, probabilmente scopiazzando qua e là tra ambientalisti, comitati ecc abbia fatto un programma che è quello che serviva per l'Italia cioè lo sviluppo sostenibile nei territori, poi non si accorge che deve, per essere coerente a questo programma, lo dico dal loro punto di vista (io non li ho votati), probabilmente la prossima volta fai il monocolore però per l'interesse di alcuni, però la prossima volta non ci potevano stare per loro stesse regole fai un'altra cosa e vai alla dissoluzione, queste sono considerazioni politiche che escono da questo discorso. 

La nuova fase delle grandi opere probabilmente esplicita è quella di trasferire risorse pubbliche di tutti dal sistema economico a interessi finanziari privati cioè di chi partecipa a quel gioco.
Vi dicevo, una lezione, che si ebbe in uno dei tanti appuntamenti organizzati dal Grande Cortile, ad un certo punto intervenne un vecchio dirigente della FIAT, in pensione ovviamente, che ci disse: “Mi complimento, voi ancora ragionate in termini di programmazione, scelte strategiche, mi dispiace per voi non è più così, adesso quello che interessa è che una roba sia quotata in borsa quindi deve dare profitti nel brevissimo periodo”. Ed è fatta da un Consiglio (almeno prima c'erano le grandi famiglie in Italia, ora non ci sono più) ci sono i Consigli di Amministrazione in cui chi decide ha un obiettivo di qualche mese, che volete che interessi il futuro della val di Susa o del futuro del bel Paese!  Allora c'è il problema: quando c'è questo scontro, questo attacco forsennato di Confidustria che chiama a militare, a militare! tutta la grande stampa; quando abbiamo un nuovo segretario di quello che dovrebbe essere il partito che una volta rappresentava i lavoratori la prima cosa che fa viene da voi, ma non per salutare voi, ma per dire a tutti io sono il nuovo maggiordomo, non quelli di Firenze con il loro giro, quelli sono finiti, siamo noi il nuovo maggiordomo. Con una politica così subalterna a queste cose bisogna trovare nuove forme, iniziative che ci sono.
Il discorso è nell'utilità che ci chiedeva Zambrini, di una infrastruttura o di una qualsiasi operazione che riguarda il territorio, ci sta la visione del territorio e allora bisogna guardare (ieri un po' è stato detto) all'inizio di questa fase di passaggio dall'economia alla finanza quando prevalevano una rappresentazione generale del mondo che erano perfettamente coerenti a questo passaggio. Trent'anni fa Marshall McLuhan tirò fuori una cosa che era incontestabile come ragionamento: il villaggio globale. E' vero che siamo un villaggio globale, possiamo giocare in borsa in ogni momento, possiamo andare dove vogliamo a fare viaggi per studio per lavoro ecc - se abbiamo le risorse per farlo, se no veniamo respinti, buttati fuori - siamo più interessati tramite i media a ciò che succede dall'altra parte del globo piuttosto a quello che succede sotto casa nostra, abbiamo notizie da tutte le parti in ogni momento: siamo un villaggio globale, però negli anni ottanta già si profilava la questione ambientale, c'era già stato da 15 anni la Conferenza di Stoccolma, in Italia c'era già il forte dibattito su nucleare, sulle grandi scelte energetiche, carbone, poi la grande cascata di opere, nel 64, poi le colombiadi, tutte queste grandi opere utilissime che servivano e questi sono gli investimenti! Interessante, mentre i giusti tagli devono essere sanità,  istruzione, università: quelli sono i giusti tagli! Si spende troppo, questi sono investimenti! Ribattezziamo, e anche questa cosa di fare i maggiordomi del debito pubblico sancito dagli accordi di Maastricht, sancito da un'Europa che era già subalterna a queste logiche qui, però il discorso è: questa rappresentazione del villaggio globale - già diversi studiosi dissero - è una rappresentazione perfettamente coerente sia al fatto che noi siamo collegati continuamente con tutto, però lì l'ambiente diventa niente, lì i luoghi diventano punti e allora il mondo ambientalista (pigliava consistenza in quel periodo), proprio guardando la Terra vista dalla luna, da quelli che avevano circumnavigato la luna dicevano che era un'arancia blu - vi fu anche una rivista che si chiamava Arancia Blu negli anni ottanta - ha detto noi non dobbiamo pensare ad un villaggio globale fatto solo di relazioni orizzontali, economiche, sociali, demografiche, spostamenti, di guerra anche, ma tra luogo e luogo, dobbiamo vedere cosa c'è e quindi venne fuori questa rappresentazione di Gaia che era una rappresenatazione ambientalista che era già un grosso passo avanti, ma era una rappresentazione in cui la Valsusa, la Valnerina, lo Stretto di Messina, la Val d'Arno sono punti, sono sempre e ancora punti.
Le “città globali” di Saskia Sassen sono relazioni tra grandi centri ma tutto il resto? Allora cominciò in California, un movimento che prima era scientifico che poi diventò politico, lanciò EDD Soia - geografia urbana all'università di California San Francisco, disse ci vuole una rappresentazione diversa certamente dal villaggio globale ma una diversa anche da Gaia perché noi abbiamo bisogno che i luoghi siano luoghi. Settis quando dice che l'Italia è una ricchezza, il bel Paese deve essere valorizzato, deve essere considerato in tutti i suoi luoghi, e poi Buenos Aires non può avere lo stesso sviluppo di Mosca che non può avere lo stesso sviluppo di Canberra che non può avere lo stesso sviluppo di New York. Il villaggio globale ci rendeva appetibile, interessante desiderabile il modello di vita di New York perché ci presentava le luci di New York, le mille luci di NY scriveva Mclnerney senza dirci tutti i problemi di malaria urbana e sociale che c'erano sotto, però tutto il mondo dalle comunità nepalesi all'interno della Calabria tutti dovevavno guardare lì.
Gli studiosi dello sviluppo dicono che lo sviluppo è continuamente una freccia che va ad ovest. Oggi è tornato dov'era 5000 anni fa: la fase più ricca del mondo tra Hong Kong, Singapore, Pechino e Shangay ma solo settanta anni fa, quando la Società delle Nazioni è diventata ONU, il triangolo più ricco del mondo era tra Boston New York e Washington, il corridoio del nord est, e infatti il discorso che fece Truman alla nascita dell'Onu, disse: “Tutto il mondo deve guardare a questa freccia dello sviluppo, la freccia del sud perché non tutti diventeranno ricchi e affermati come i newyorkesi o shingtoniani o bostoniani però ognuno migliorerà la sua situazione”; in nome di questo siamo andati a esportare modelli di sviluppo che poi erano progetti sempre più sbagliati che hanno distrutto le economie del terzo e del quarto mondo.
Bisogna riprendere la lezione, quando negli stessi anni descritti da Emilio Serene in Italia, quando nell'urbanizzare l'Italia ci siamo dimenticati della regola ambientale, la regola paesaggistica, la regola culturale, la regola insediativa. Qualche anno prima Saverio Muratori aveva detto: “Guardiamo a una triade” - che guardava per la costruzione di un manufatto -  lui disse: “Dobbiamo proiettarla sul territorio”; c'è stata una lunga fase in cui abbiamo territorializzato, cioè non è che il territorio è rimasto sempre naturale, ma non avevamo le condizioni per non adeguarci alla regola ambientale, per non adeguarci alla regola culturale del territorio, alla regola paesaggistica; questa è stata la lunga fase della territorializzazione in cui quando facevamo manufatti li facevamo assolutamente coerenti studiando la relazione con quella regola. Dalla rivoluzione industriale in poi siamo entrati in una fase di crescente deterritorializzazione nel senso che ci siamo illusi (con altre parole c'è anche in Laudato Sì') di avere una tecnologia tale da poter interpretare fino a stravolgere la regola ambiantale, la regola insediativa, la regola culturale, la regola paesaggistica del territorio e invece ad un certo punto ce ne siamo staccati fino alla speranza progettuale di Tomas Maldonado; forse veramente c'era la buona fede di dire io riesco a urbanizzare con le nuove tecnologie senza creare eccessivi problemi ambientali, paesaggistici... Ma poi questa consapevolezza è venuta meno e il segnale l'ha dato proprio il grande Paese che poi è diventato fino a ieri, forse fino ad oggi ancora, il Paese più potente economicamente e politicamente del mondo. E' stato il primo Paese a dire: attenzione, la nostra ricchezza,la ricchezza degli Stati uniti è stata sempre data dalle risorse dei grandi ambienti, dei grandi contesti, delle grandi praterie, noi oggi con l'urbanizzazione, lo sviluppo economico e la crescita economica stiamo mettendo in discussione questo e nel 1969, primi al mondo, si diedero la NPEA ,National Protection Environmental Act, la legge quadro di protezione dell'ambiente che stabiliva per la prima volta che per attuare progetti, opere, piani e programmi bisognava fare valutare l'impatto di questi programmi e qualora l'impatto non fosse stato positivo o quantomeno nullo il programma non si doveva realizzare. Questo poi si è sparso un po' da tutte le parti con accezioni diverse, arrivata buon ultima nel '86 anche l'Italia; però non tanto questo ci doveva far riflettere, ci doveva far riflettere il fatto che ormai era sancito che avevamo rotto la regola abbondantemente e quindi tutta questa fase di negazione, degrado, che prima Muratore e poi Alberto Magnani, professore emerito da noi, sempre accanto alle sue istanze, lui che veniva da esperienze di potere operaio, era sempre stato anche un movimentista, accanto alle istanze di ricerca accademica ha fatto anche istanze di azione sociale. Io sono stato cinque anni in America a studiare da vicino là dove erano già avanti con questo discorso della pianificazione ambientale e valutazione di impatto ambientale e poi sono tornato e sono diventato professore a Firenze proprio perché venivo da fuori e nasceva allora questo programma che si chiamava già programma territorialista. Allora lanciammo, tra l'altro la bellissima sera, del gemellaggio no ponte no tav, Magnani doveva fare questo discorso perchè non è solo una questione di inaugurazione, è una questione anche pragmatica che in Valsusa decidono i valsusini, ma fu una sera talmente entusiasmante, passammo dal consiglio comunale di Avigliana al teatro e poi al palasport, arrivò Gianni Vattimo per dire una cosa, non se ne accorse nessuno, nelle ore e nell'entusiasmo, nei cori vennero messe un po' da parte, allora Magnani voleva fare questo discorso: “Non è solo questione di democrazia elementare è una questione che serve a tutti, senza abitanti non si può fare nessuna trasformazione del territorio”, che è un discorso pragmatico che vuol dire non semplicemente un'istanza politica ma una istanza di recupero di riterritorializzazione, cioè di recupero della sapienza territoriale con cui lavoravano i nostri nonni e i nostri bisnonni che sfruttavano il territorio - ma senza i pesticidi e la chimica che muoiono i cani e gatti - e se un'operazione non andava non la facevano.
I Biscari, che è un insulto a Firenze, erano una famiglia che nella Firenze dei Medici che si stava urbanizzando, con tutte le regole di interazione col contado che si trasformava, con il fiume che c'era (che racconta magnificamente ogni volta un nostro amico e collega che si chiama Roberto Budini Gattai), il biscari è rimasto un insulto perché i Medici e gli altri dicevano: guarda che noi urbanizziamo. Urbanizziamo perché infatti fanno delle cose che sono rimaste patrimonio dell'umanità per sempre, quei palazzi. Ma loro no: noi siamo produttori agricoli e continuiamo a tenere il campo, allora: Biscaro! È diventato addirittura un insulto.
Magnani voleva dire quella sera che è stato travolto dal gemellaggio no ponte no tav, queste cose qui; ridare il territorio agli abitanti vuol dire semplicemente ripristinare, riterritorializzare, capire che non abbiamo futuro se non recuperiamo - con tutti gli aggiustamenti che vanno fatti - le regole ambientali, le regole culturali, le regole paesaggistiche, le regole sociali del territorio e non lo possiamo fare senza gli abitanti.
Oltre a continuare a trovare le forme più interessanti io penso sia una cosa anche politicamente molto importante e questo fatto della Laudato sì' e questo fatto che qualche mese dopo i ragazzi si sono accorti di questa cosa qui. Però sono divertenti tutti i maggiordomi di questo sistema che dicono si l'ambiente, la sostenibilità però...finché non ci dà fastidio, lasciateci lavorare come dicono a Roma; invece no, questo deve essere diventato un dato strutturale.
Questo Paese ha bisogno di grandi opere, ieri è stato l'anniversario dell'Aquila; la prima grande opera che dobbiamo fare è la messa in sicurezza del territorio dalla sismica all'idrogeologia, dagli incendi ecc, ma non solo il territorio non ancora urbanizzato ma anche il territorio urbanizzato. Ero a Marsiglia per una conferenza prima di Natale e sono crollati due palazzi, tra l'altro c'era una studentessa italiana pure coinvolta e noi abbiamo detto ci rammarichiamo. In Italia siamo in questa situazione, che abbiamo un patrimonio costruito, che è stato costruito soprattutto negli anni 50, 60 e 70 ed è entrato nella sua fase matura, una gran parte di questo patrimonio non è nemmeno più gestito perché abbandonato. Noi abbiamo fatto una grande ricerca negli anni scorsi che si chiamava Riutilizzare l'Italia. Noi abbiamo un appartamento su quattro, abbiamo circa 33 milioni di appartamenti, sono dati ISTAT, un appartamento su quattro è vuoto o è inutilizzato infatti noi diciamo non solo dovremmo accogliere tutti quelli che arrivano, dovremmo accogliere anche quelli che arriveranno da altrove per i prossimi 50 anni perché abbiamo costruito un'altra Italia che è lì abbandonata a degradarsi, case e capannoni. Questa estate drammaticamente ci è stato ricordato che c'è un altro componente dell'urbanizzazione che abbiamo degradato, che abbiamo lasciato andare, è venuto giù il ponte Morandi.
Noi abbiamo come rapporto metri lineari / abitanti il patrimonio di linee di strade, autostrade e ferrovie più alto del mondo delle nazioni avanzate, ma ovviamente se hai una risorsa così importante che viene utilizzata tutti i giorni che devi fare? Devi fare la manutenzione, devi investire le giuste risorse per mantenerle. Allora la grande opera che serve è una manutenzione del territorio contro i rischi sismico, idrogeologico, incendi, inquinamento ecc e una manutenzione del costruito, il patrimonio abitativo e infrastrutturale. Ma tutto questo non si può fare se tu non parti da una analisi delle condizioni, quindi da piani, programmazione. Pianificazione è la parola decisiva ed è stata messa da parte perché ad un certo punto noi siamo andati a liste di opere che dovevano ricostruire l'Italia dopo il secondo dopoguerra. Molte delle opere di cui stiamo discutendo le aveva recuperate Berlusconi (salutato da tutti) recuperando i programmi per il mezzogiorno degli anni 50 e 60 o addirittura dei programmi della ricostruzione, perché Lunardi doveva fare in fretta (fu anche professore da noi), tra le altre cose fece pure dare un incarico a Firenze e si arrabbiò perché noi ci opponevamo a che Firenze facesse il consulente di questo programma. “Guarda noi già lo stiamo studiando il tuo programma, lo stiamo studiando con un altro taglio e non possiamo essere consulenti tuoi”. Ha avuto l'incarico di due anni e poi se ne è andato, però ci ha raccontato questa cosa: “Dovevo fare in fretta” e quindi ha preso pezzi di Cassa per il Mezzogiorno, per il sud infrastrutture, il ponte sullo stretto, pezzi addirittura dell'Italia della ricostruzione per improvvisare questo programma che intanto veniva legittimato mediaticamente.
Però noi dobbiamo chiudere con queste. Sicuramente lo scontro che c'è in Val di Susa è uno scontro micidiale perchè è questo mondo che ha beneficiato fino a adesso di tutta questa situazione a scapito di tutti, che teme che questo beneficio finisce.
I 50000 ieri erano 5000, però si sono giustificati dicendo tanto ormai sono fatti i contratti. Ci sono state opere che hanno avuto il permesso di costruzione e si sono fermate, non se ne è accorto nessuno e si sono fermate senza mai pagare una penale. Nella Legge Obiettivo non si è mai pagata penale. La penale è l'ultima bandiera di quelli che non hanno altra cosa cui difendere quando un'opera diventa indifendibile.
Però dobbiamo chiudere con questo mondo che si rappresenta perché vuole mantenere i privilegi che ha avuto. Buonanima di Ivan Cicconi, grande studioso delle distorsioni delle grandi opere dell'alta velocità, ci faceva notare che Impregilo, oggi Salini-Impregilo, la più grande impresa di costruzioni italiana, la settima del mondo, vent'anni fa aveva 200.000 unità di maestranze, oggi ne ha 6.000, tutti gli altri sono diventati dirigenti, facilitatori di progetti cioè passacarte che, soprattutto, devono svolgere funzione di lobbyng, allora con questo modo che si sta rappresentando drammaticamente - tra l'altro riportando indietro il discorso sulle grandi opere - bisogna non chiudere con questo mondo, ma chiudere con le loro istanze e aprire questa grande fase di riterritorializzazione del territorio in cui gli abitanti sono gli elementi centrali.
Vi ringrazio




.

Ama la terra come te stesso - Assisi - trascrizione dell'intervento di mons. Vittorio Peri (non rivista dall'autore)



     Ringrazio anzitutto i promotori di questo incontro  e, in particolare, il carissimo amico Paolo Anselmo che mi ha quasi costretto ad accettare l’invito offrendomi così la possibilità di poter esporre qualche breve considerazione in merito a questo vasto tema di natura ecologica (da oikos = casa; e logos =discorso)
     In rapporto ad esso mi è venuto alla memoria un esto celebre versetto, breve e lapidario, del libro biblico della Genesi: “Dio pose l’uomo nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse” (2,15). I due verbi - coltivare e custodire – definiscono le coordinate delle responsabilità che ciascuno di noi ha nei confronti del creato. Di seguito, alcuni brevi rilievi sull’uno e sull’altro. 
1.     COLTIVARE

     Il compito di coltivare (arare, bonificare, seminare, ecc) va letto alla luce di altri quattro verbi che troviamo nel primo capitolo del medesimo libro biblico ove leggiamo che Dio benedì l’uomo e la donna dicendo: “Siate fecondi / moltiplicatevi / riempite la terra / soggiogatela” (1,28).
     I quattro imperativi trovano concretezza nel lavoro che, come affermava Giovanni Paolo II, è “una fondamentale dimensione dell’esistenza umana sulla terra“ (Laborem exerces,  n. 4) e che suppone uno specifico dominio dell’uomo non solo sul pianeta che abitiamo ma sull’intero universo, entrato ormai nel raggio d’azione della ricerca umana.   
     Il verbo “coltivare” merita, soprattutto qui ad Assisi, ui in Assisi una particolare sottolineatura. Nella celebre  Vita seconda di s. Francesco scritta da Tommaso da Celano tra il 1246/47, è riportato infatti – e non una sola volta – il curioso consiglio che Francesco dava ai suoi fratelli (frati) addetti ai lavori agricoli: coltivate pure gli orti dei conventi, ma ricordatevi di lasciare almeno uno spazio incolto perché possano nascervi spontaneamente fiori, erbe  e piante varie.
     Francesco chiedeva loro, in sostanza, di rinunciare a coltivale l’intera superficie dei piccoli terreni da cui traevano magri prodotti commestibili, per lasciare spazio a “cose inutili”, come potrebbero sembrare fiori, piante selvatiche ecc. Insomma, a rischio di sembrare folle in tempi sempre minacciati dalla fame, egli si preoccupava della salvaguardia e della bellezza del creato, anticipando così di molti secoli la celeberrima espressione del grande Dostoevsky: “L’umanità può vivere senza scienza e senza pane, ma senza la bellezza no, perché al mondo non ci sarebbe più niente da fare”.
2.     CUSTODIRE
         Questo secondo verbo del nostro versetto biblico indica cura, protezione, preservazione del creato: compiti che ciascuno di noi è chiamato a realizzare superando la tentazione di interessi particolari. “Senza la terra noi siamo niente”, scrive il monaco Enzo Bianchi per affermare che tutte le realtà che la terra produce e che di essa vivono non sono semplici “cose” a noi estranee, ma parti integranti della nostra vita, e non solo materiale.
         Sono anzi il nostro “prossimo inanimato”: da custodire perché anch’esso entrerà nel “giorno senza tramonto”; come lascia intuire, leggendolo in filigrana, un sorprendente brano della lettera di Paolo ai Romani: “La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio (…) e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella gloria dei figli di Dio”. (8,19-21)
         L’uomo è tanto legato al cosmo da non potersi pensare senza di esso, e il cosmo, nella risurrezione, troverà il suo più alto significato e compimento. E del resto: privo di piante, fiori, animali spiagge, montagne ecc. che mondo risorto sarebbe? Da eccelso teologo qual era, Tommaso d’Aquino immaginava una certa “spiritualizzazione” della materia, di tutta la materia uscita dalla mani del Creatore”. E così, contrariamente a quanto affermava il Mefistofile di Goethe - “tutto ciò che nasce è destinato a scomparire; perciò sarebbe meglio se non nascesse nulla” - la fede cristiana ci insegna che tutto ciò che esiste è degno di essere, e per sempre, perché plasmato da Dio. Egli ne è il  Creatore e anche il Redentore.
         2/1- In senso negativo, però, il verbo “custodire” comporta l’astensione da ogni forma di violenza. “Non uccidete il mare, / la libellula, il vento. / Non soffocate il canto del pino. / Anche di questo è fatto / l’uomo. E chi per profitto vile / fulmina un pesce, un fiume, / non fatelo cavaliere del lavoro. / L’amore finisce dove finisce l’erba / e l’acqua muore. … / Come potrebbe tornare a essere bella / scomparso l’uomo, la terra?”, scriveva il poeta livornese Giorgio Caproni.
         Sono invece sotto gli occhi di tutti gli immani scempi ambientali avallati spesso dall’inerzia o dalla connivenza di chi dovrebbe vigilare. Il rigoglioso giardino donatoci da Dio subisce giorno dopo giorno la violenza di chi sta trasformandolo  in una immensa distesa di macerie e di sporcizia. Calpestiamo, imbrattiamo, devastiamo come vandali e spesso in modo irreversibile se è vero, come qualcuno ha rilevato,  che se Cristoforo Colombo avesse gettato una bottiglia di plastica in mare, quella bottiglia continuerebbe ancora a galleggiare e inquinare.
         Lo scorso 14 marzo milioni di studenti di tutto il mondo hanno ricordato, ai politici soprattutto, la necessità di agire con rapidità e decisione per contrastare i cambiamenti climatici prodotti dall’inquinamento. Secondo  l’Organizzazione mondiale della sanità nove persone su dieci respirano oggi aria inquinata che, a sua volta, provoca sette milioni di decessi ogni anno. Sappiamo inoltre che le tonnellate di plastica prodotte annualmente a milioni, hanno formato negli oceani “sole di plastica” di oltre 16 milioni di chilometri quadrati (una superficie inferiore solo al territorio della Russia).E tutti abbiamo negli occhi le drammatiche immagini televisive di enormi cetacei spiaggiati per aver ingerito chili e chili  di materiale plastico.
         Una volta era l’uomo che doveva aver paura dell’ambiente; oggi è l’ambiente che deve temere l’invadenza e la prepotenza dell’uomo. Perfino questa bella Umbriauesto conveg, regione ricca d’arte e di spiritualità, è divenuta pericolosa come ha scritto una giornalista di Famiglia cristiana: “Se io fossi un cane o un gatto mi terrei alla larga dall’Umbria; pare infatti essere  la regione italiana a più alta percentuale  di avvelenatori di cani e gatti.”
         Ebbene, nonostante questa preoccupante realtà, la maggior parte della gente si uasi) comporta come i passeggeri del celebre Titanic nella tragica notte dell’aprile 1912. Nel culmine di festeggiamenti per il viaggio inaugurale, il lussuoso transatlantico, squarciato per la collisione con un imprevisto iceberg, andava a fondo. Possiamo pertanto qualificare il Titanic metafora del nostro pianeta, considerato ormai agonizzante da non pochi scienziati.
         Merita allora ricordare il folgorante aforisma di uno sciamano pellerossa:  “Quando l’ultimo albero sarà  stato abbattuto; / l’ultimo fiume avvelenato; / l’ultimo pesce pescato / ci accorgeremo che il denaro non si può mangiare. / E che morremo di fame
         2/2 – Positivamente, poi, il verbo custodire comporta l’attivazione di relazioni amichevole con l’ambiente. “Io sono me stesso più il mio ambiente. Se non preservo quest’ultimo, non preservo nemmeno me stesso”, scriveva il filosofo spagnolo José Ortega y Gasset. “E’ pertanto necessario – afferma papa Francesco -  assumere uno stile di vita profetico e contemplativo, capace di gioire senza essere ossessionati dal consumo”(Laudato si’, 222)

         Tralasciando ulteriori considerazioni, vorrei concluderei con un gradevole apologo che, almeno per me, è di origine ignota, e con una poetica citazione.
         “ Da giovane, quand’ero un rivoluzionario pregavo dicendo: Signore, dammi la forza di cambiare il mondo. Raggiunta la mezza età, e vedendo che il mondo non era cambiato, dicevo: Signore, dammi a forza di cambiare il mio villaggio. Ora che sono anziano dico semplicemente: Signore, fammi almeno la grazia di cambiare me stesso”.
         Questa è la preghiera che potremmo formulare, alla luce di quanto abbiamo detto e della densa riflessione del poeta inglese John Donne: “Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso. Ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana. Suona anche per te”.

Grazie per il paziente ascolto.
                                     
                                                                  peri.vittorio@gmail.com






Ama la terra come te stesso - Assisi - trascrizione dell'intervento di Elisabetta Forni - sociologa (non rivista dall'autore)


Nel ringraziare gli organizzatori di questo incontro,  
mi sento anche obbligata a scusarmi per l'approccio che ho inteso dare al mio contributo, mi rendo conto che è forse troppo pretenzioso e complesso per essere affrontato nel tempo che mi è stato assegnato, ma al tempo stesso non ho voluto rinunciare a questa sfida, di mettere sul tavolo e mettere a disposizione di chi è qui (di chi si è impegnato a realizzare questa cosa e chi ad essere presente ascoltando) la possibilità di riflettere su quelli che sono un po' gli strumenti del mio mestiere, perché penso che sia molto importante non fermarsi, non essere soltanto a testimoniare delle cose ma essere anche ad aumentare, ogni volta che ci si incontra, un po' la complessità della tematica e però anche gli strumenti per poterli analizzare con gli occhiali che ognuno è in grado di mettere. Io sono sociologa urbana dell'ambiente, affrontare una questione come questa che è stata posta anche dalla Laudato Si' e da tutti gli scienziati che nel corso di questi anni hanno studiato il tema in questione, mi sembra che sia una questione ineludibile, perché tocca anche aspetti cruciali delle nostre società - a livello globale, perché ormai è chiaro che la questione si pone a livello globale. 
Ecco, la prima considerazione che mi viene da porvi è proprio l'importanza di cogliere le connessioni, cioè il fatto che tutto è connesso, e anche nella Laudato si' questo concetto di Casa Comune credo che esprima molto bene proprio il senso della connessione.  Una connessione che è messa in luce anche da scienziati. Per esempio Stefano Mancuso, questo famoso neurobiologo vegetale, che ha scritto testi di fama internazionale, che lo sottolinea. E allora cogliere a livello ecosistemico la connessione tra i vari mondi, quello vegetale, quello minerale e quello animale (di cui anche noi facciamo parte, come specie homo sapiens) è un elemento fondamentale, perché soltanto così possiamo riuscire a sviluppare un pensiero critico che è fondamentale per poter agire. Fintanto che non abbiamo le idee chiare, criticamente su cosa sta succedendo, difficilmente possiamo fare delle scelte adeguate, appropriate, che vanno almeno nella direzione giusta. 
Tanto per sottolineare questa connessione, sempre Mancuso fa notare, parlando di migrazioni umane (che è un tema molto centrale e molto pertinente anche rispetto al discorso della crisi globale) come quando si parla di migranti “per capire il senso delle migrazioni bisognerebbe studiare le piante (lui è uno studioso di piante), per capire che si tratta di fenomeni inarrestabili. La storia delle piante è una storia di migrazioni possibili, di spostamenti continui, dovuto a spostamenti continui. Le piante si spostano sempre - attraverso i semi, i fiori - ed è un processo inarrestabile Alla stessa maniera le migrazioni umane sono un processo inarrestabile oltre che fondamentale per la sopravvivenza del sistema-mondo. Ecco in questo senso cogliere anche queste connessioni è cruciale.”

Quando si fa un'analisi della situazione attuale si parte sicuramente da molto lontano, cioè gli studiosi (soprattutto gli scienziati naturali) hanno introdotto già da alcuni anni il concetto di "antropocene" per esprimere il senso di un'era, tra quelle terrestri, dominata dall'homo sapiens. Da quando è comparso sulla terra l'homo sapiens, ha prodotto sulla terra delle trasformazioni che sono così significative e così legate proprio all'azione umana da giustificare la definizione di antropocene per dare un'idea di cos'è successo sulla terra da quando l'uomo è esistito. Il fatto è che questa presenza umana sulla terra ha trasformato in modo significativo e anche molto pesante l'ambiente, il pianeta Gaia, al punto tale da provocare negli ultimi secoli un'accelerazione vertiginosa e tragica i cui effetti stiamo vedendo, e che in questo precipitare provocherà degli effetti enormi non più nei prossimi secoli, ma nei prossimi decenni, come ci dicono gli scienziati. 
Ecco al fine dell'analisi che sto cercando di condividere con voi, vorrei concentrarmi su questi ultimi secoli. Questi ultimi secoli che, sempre di nuovo gli studiosi, hanno definito nell'ambito dell'antropocene, capitalocene. Che cos'è? E' l'epoca, il tempo, nel quale l'economia capitalistica ha avuto il sopravvento sui modi di produzione precedenti. Il modo di produzione tipico dell'economia capitalistica il modo di produzione industriale, e il meccanismo prodotto all'interno di questo approccio è un meccanismo che non vede più la produzione di beni come funzionale al soddisfacimento dei bisogni umani, ma vede la produzione di merci come lo strumento attraverso il quale produrre più valore, ossia più denaro. Allora all'interno di questo contesto poi si sono andate sviluppando anche espressione che rendono conto della complessità di questo fenomeno. Si parla di geocapitalismo, di capitalismo globale, di finanzcapitalismo, anche di narcocapitalismo, sono tutti modi per approfondire le specificità di questo processo, di questo meccanismo, ma la questione di fondo è che questo modo di produzione ha la caratteristica di ridurre sempre di più la variabile tempo appiattendola sull'immediato. Cioè, la logica del profitto capitalistico è una logica che non può, per sua intrinseca logica caratteristica natura, proiettarsi troppo in là nel futuro. Il raggiungimento della massimo profitto nel minor tempo possibile è l'obiettivo. Per realizzare questo c'è sicuramente bisogno di attingere al capitale naturale, cioè quella che Marx chiamava la fertilità naturale della terra, e questo continua ad esserci, ad esistere anzi in maniera sempre più massiccia, nella logica che questo capitale naturale è un materiale inesauribile, mentre gli scienziati ci hanno dimostrato - dopo il più sistematico, dagli anni “70 quando il Cub di Roma ha commissionato la famosa ricerca all'MIT sui limiti della crescita - che non è affatto vero che questo capitale è inesauribile.
Una società che è cresciuta, dagli albori della rivoluzione industriale, sulla disponibilità illimitata di materiale fossile, è una società che non è stata assolutamente in grado di porre dei limiti al proprio meccanismo di crescita, là dove invece i limiti ci sono. I limiti della crescita ci sono, e stanno nel fatto che le risorse sono esauribili, che stiamo vivendo al di sopra delle nostre risorse naturali, che l'utilizzo delle materie fossili produce un'effetti di stravolgimento climatico, che porteranno al collasso del pianeta eccetera eccetera, sono tutte cose che voi sapete bene e su cui non mi soffermo. quello che mi interessa sottolineare però di tutto questo è che la componente fondamentale di questo processo è duplice. Da un lato lo sfruttamento del capitale naturale, l'altro è lo sfruttamento del lavoro umano. E' attraverso il lavoro umano che si produce valore. Però in questo sta la contraddizione fondamentale del sistema capitalistico, perché nella logica della competizione tra imprese, che è un'altra caratteristica fondamentale del sistema capitalistico, è stato necessario in contesto occidentale (dove si è sviluppato il sistema industriale) di sostituire il lavoro umano con la tecnologia, perché era l'unica condizione per mantenere profitti ad un livello tale per giustificare l'operazione di estrazione del valore, ma in questa maniera si è determinato quello che nell'analisi marxiana è chiamata la caduta tendenziale del saggio del profitto, ossia se come capitalista io punto al massimo del profitto, devo cercare di contrarre quello che, nella logica della sopravvivenza della forza lavoro, do al lavoratore in cambio del suo lavoro. In questa sottrazione produco, come effetto, la riduzione del potere di acquisto dei lavoratori, o addirittura il licenziamento dei lavoratori, la perdita del lavoro perché sostituisco il lavoro con le macchine, che realizzano maggiore profitto. E con questo però produco un effetto che va contro l'interesse del capitale, e cioè riduco il numero di potenziali consumatori, che sono quelli che comprano le merci che io produco, e che produco soltanto in funzione della realizzazione del profitto.
E la ragione per cui si è andata creando questo sistema di capitalismo globale non solo a fine estrattivi delle materie prime, ma anche a fini di delocalizzazione dei sistemi produttivi industriali ma meno automatizzati, in quei paesi del mondo dove la manodopera costa poco, mantenendo invece in occidente le imprese a più alta intensità di capitale, quindi con maggiore tecnologia.  Questo lo dico anche perché è molto importante e molto utile capire questo meccanismo quando andiamo ad analizzare la ragione per cui in occidente uno dei pochi settori produttivi che sono rimasti, a parte le città nelle quali si concentra la finanzia, in cui si concentra i saperi più elevati, più qualificati che producono idee che vengono poi applicate ai sistemi di estrazione di valore, quello che in occidente sopravvive non a caso sono le  Grandi Opere.
Le Grandi Opere sono quelle nelle quali si può ottenere la maggiore estrazione di valore con tecnologie ad alta intensità e appunto di capitale.
La talpa che scava i buchi in Val Susa è una macchina sofisticatissima, che sostituisce il lavoro che una volta, per scavare un tunnel, veniva fatto da squadre immense di minatori. il risultato è che il profitto resta nelle mani di pochi, nonostante ci venga detto che tutto questo serve per produrre lavoro; in realtà serve per produrre valore per pochi.  Detto questo vorrei ancora sottolineare una cosa che mi sembra molto importante. Questa crisi del capitalismo è una crisi irreversibile perché, come dire, è proprio un sistema che contiene dentro di sé i germi della propria distruzione. Questo l'hanno capito in tanti, l'hanno capito forse anche gli stessi capitalisti, ma questo non fa che renderli più rabbiosi, più avidi, perché sanno che devono comunque sfruttare tutto quello che possono nel minor tempo possibile. Dunque non è certo perché non sanno, non è il negazionismo da ignoranza, è un negazionismo da avidità, come dire. Sì certo, stiamo segando il ramo su cui siamo tutti seduti, però intanto noi qualcosa ci guadagniamo, e poi tanto cosa possiamo fare?  In tutto questo - è chiaro che c'è la parte di chi non ha in mano le leve del potere, il controllo dell'economia un'esigenza fondamentale di sopravvivenza. Cioè, le grandi massi popolari, sia in occidente che nel così detto terzo mondo, sono di fronte a una necessità altrettanto immediata, perché comunque bisogna riuscire a mangiare qualcosa per arrivare a sera. E questa condizione di progressiva deprivazione materiale, è chiaro che toglie anche molte risorse alle persone, per ragionare e per poter guardare al di là della giornata alla fine della quale deve riuscire ad arrivare con la pancia piena. Ed è molto difficile per le persone anche riuscire ad immaginarsi al di fuori di una logica del lavoro. Gli stessi sindacati che cosa fanno, tendenzialmente? Lottano per il lavoro, ma anche perché ci siano sempre più persone con un lavoro salariato, laddove il lavoro salariato è proprio per definizione, per logica capitalista, un lavoro che è creato apposta per estrarre valore, che arricchisce chi è proprietario dei mezzi di produzione. Dunque la strada alla quale dobbiamo puntare per uscire da questa crisi che comunque ci sarà è quella di riuscire a cominciare a pensare ad un'alternativa al lavoro, inteso come lavoro salariato, perché è questo il concetto.  Lavoro significa lavoro salariato, così come economia non è diverso da economia capitalistica. E come uscire da questo?
Ecco guardando a quelle realtà in giro per il mondo dove si sta tentando di creare un sistema alternativo che è fatto di attività umane non basate sull'estrazione di valore; attività umane basate sul soddisfacimento dei veri bisogni, non dei bisogni fittizi creati da un sistema consumistico che è esattamente teso allo scopo di arricchire qualcuno creando tra l'altro spreco di risorse, un'accumulazione spaventosa dei rifiuti e così via. Ci sono realtà che stanno cercando di muoversi in questo quadro, ma naturalmente restano moltissimi problemi da affrontare, perché ormai viviamo in una connessione tale per cui è molto difficile rinunciare a certe cose, è difficile riuscire anche soltanto a liberarsi da certi condizionamenti nei nostri consumi, nel nostro stile di vita, per quanto ci si possa sforzare di fare questo lavoro di immaginazione. Però credo a questo che bisogna continuare a puntare, mettendo insieme tutte le forze che consapevolmente possono andare in questa direzione.
In questo vedo come estremamente positivo quello che sta succedendo in Val di Susa, perché è a mio avviso un esempio di una società che si è progressivamente emancipata da una dimensione soltanto locale e personale, di soluzione di un problema. E' una società che si è autoformata. E' una specie di esempio dell'università della strada, di università popolare, nella quale tutti i cittadini, tutte le persone che vivono lì si sono ad un certo punto interrogate su cosa stava succedendo, e non si sono limitate ad una risposta diciamo localistica, ma hanno voluto capire, e nel farlo hanno coinvolto sempre più persone scienziati, persone che venivano dal mondo delle religioni, della fede, cercando tutti i contributi possibili per poter esercitare un'azione di informazione e di convincimento. 

Credo che nel fare quest'operazione si siano trovate a fronteggiare in una maniera diciamo straordinaria la complessità di un sistema che punta su tre aspetti e su tre modalità di violenza.  Ci tengo a sottolineare questo perché siccome uno dei tentativi che vengono messi in atto da parte di chi vuole il tav (o che in questo vuole simbolicamente e accanitamente questo modello di sviluppo appunto capitalistico e basato sul profitto) lo fa nello spirito di criminalizzare invece chi è contrario. Questa criminalizzazione c'è un esercizio di violenza che è altrettanto forte come la violenza che in realtà viene inflitta, come tutte le popolazioni sulle quali con l'uso del proprio potere si vuole produrre un'effetto che è negativo per quella popolazione. C'è uno studioso norvegese che si chiama Johan Galtung, che è uno dei più grossi studiosi della pace, della risoluzione non violenza dei conflitti, che ha analizzato come la violenza, per capirne i meccanismi, vada divisa in tre sue forme fondamentali.
La più ovvia è la violenza diretta, di chi esercita fisicamente un'azione su un'altra persona, sia uno che accoltella un altro, la polizia che prende a manganellate una persone o un gruppo di manifestanti, ma la violenza diretta è uno degli strumenti che spesso vengono messi in atto da chi usa una violenza strutturale.
Cos'è? La violenza di chi ha in mano il controllo, o vuole mantenere i controllo dell'economia, delle fonti di sopravvivenza di una popolazione su un'altra. E avendo in mano questo strumenti li esercita anche sottraendo alle altre persone le risorse fondamentali per vivere, o vivere degnamente.  Molto spesso, o comunque nelle società più "evolute", c'è uno strumento che viene utilizzato per mantenere lo status quo, e cioè per continuare ad esercitare la violenza strutturale, ed è la violenza culturale.
Ecco io credo che nel caso della Valsusa, come in molti altri esempi di lotte popolari non violente, la violenza culturale prende la forma della fabbrica della menzogna (c'è un bellissimo libro di Vladimiro Giacchè che spiega bene come con l'uso soprattutto dei media, che sono pagati e condizionati, sono addirittura nelle mani proprietarie degli stessi imprenditori che fanno profitti con le  Grandi Opere o altre attività di questo genere - ecco la violenza culturale si esercita nell'offuscare la verità, nel manipolarla, nel presentarla in una maniera stravolta,

Ecco, entriamo nello specifico del NoTav - nel presentare il movimento no tav come una banda di montagnini che vorrebbero la decrescita perché stanno bene con le capre su per i pascoli, e ci lascino allora in pace, ci lasciano crescere il Pil e restino in montagna a occuparsi di quello; è la violenza culturale di chi trasforma la questione del no tav in una questione complessiva, discriminante tra chi vuole continuare a star bene e chi vuole andare indietro. Tutto questo avviene con una strumentazione enorme, da collezioni dello stesso Osservatorio, il repertorio che è messo in gioco e ancora è messo in gioco dai media perché questo funzioni... e devo dire, hanno alzato anche molto il tiro ultimamente. Abbiamo assistito ad un intensificarsi di questa battaglia con gli strumenti della violenza culturale, con le manifestazioni in piazza dei si tav, proprio uno schieramento di forze proprio a livello industriale, imprenditoriale, che non si era tanto visto in passato. Cosa vuol dire questo? Sono consapevoli del fatto che c'è in gioco veramente qualcosa di grosso; cioè, l'accanimento che i si tav stanno mettendo in questo loro sforzo, è un'accanimento che è un po' la misura della criticità del momento. Il tentativo di raccogliere anche intorno a sè quei consensi di quegli strati della popolazione che continuano a illudersi che questo modello di sviluppo capitalistico possa continuare, ma che sono sempre più penalizzati, i ceti medi. Io sono convinta che ci sia un grosso tentativo di garantirsi il consenso di quegli strati della popolazione che fino adesso hanno continuato più o meno a sopravvivere nonostante la crisi (Torino ad esempio continua a esserci crisi economica); questi ceti medi fatti anche di professionisti, architetti, tecnici, che non trovano più lavoro, non sanno più cosa fare... se questi non si tengono a bada con l’illusione che grazie ai lavori del tav che ripartono, è chiaro che la situazione precipita, quindi c'è questo sforzo enorme. E credo invece che da chi è consapevole della situazione, ci voglia uno sforzo enorme, congiunto, per comunicare le cose come stanno, e credo che questa occasione sia molto importante perché, pochi o tanti che siamo, fa uscire la questione fuori dai confini della Valsusa, della regione (che sappiamo come è amministrata e che posizione ha rispetto all'opera) e soprattutto tenti un congiungimento con il mondo che ruota attorno alla Laudato si' - che non so quanto grande sia, io non faccio parte del mondo cattolico e non ho idea veramente di quanta mobilitazione sia possibile realizzare attraverso le parrocchie, attraverso tutti i gruppi cattolici - però ritengo che sia fondamentale fare questa operazione più in fretta possibile e creare delle reti (ieri è intervenuto un collega che parlava della necessità per esempio di allargare la rete dell'informazione sul movimento NoTriv ecc - su questo lavoro di espropriazione e di sottrazione di risorse vitale alle comunità alla sua intera terra) Ecco, io credo sia l'ora di fare questo. Io credo che il movimento no tav, perché è il più antico, è quello che ha maturato pi consapevolezze, più capacità, proprio grazie alla sua intergenerazionalità, abbia da svolgere questo ruolo anche a livello nazionale, e mi auguro veramente che da questo momento si apra un nuovo scenario di coinvolgimento e di vicinanza tra mondi che condividono tutti questa visione, non di rapina ma di trasformazione del mondo in un modello che molti di noi chiamiamo “buen vivir” per indicare un approccio diametralmente opposto alla vita. 

 DOMANDA Molte riflessioni che ha fatto le ho fatte anche io facendo un'altra strada. Io non vengo dal mondo marxista, vengo dal mondo della non violenza, ma le conclusioni a cui sono arrivato nel guardare alle Grandi Opere è assolutamente convergente con questa analisi che hai fatto. L'unica cosa che c'è di diverso è che mentre i profitti delle imprese sono fatti vendendo merci quindi sono fatti di un mercato, le  Grandi Opere inutili non sono un prodotto venduto a qualcuno, sono un prodotto al di fuori del mercato; mi sembra che qui ci sia un passo ulteriore: qui è solamente l'ente pubblico, nel caso del tav è lo stato, ma nel caso piccolo possono essere regioni, comuni, è sempre la collettività che paga, che garantisce quelli che io non so se si possono più chiamare profitti perché sono semplicemente rendita.  Io ho l'impressione a volte che il sistema economico si stia involvendo in una maniera a quello che era l'ancient regime, prima della rivoluzione francese quando i nobili erano ad oziare a Versailles e il popolo pagava per i loro inutili passatempi. Mi sembra si stia andando in una nuova forma dove ci sono tutte le dinamiche di uno sfruttamento forte, ma c'è anche questo aspetto che non so poi come diventerà; sicuramente un'aspetto che messo in evidenza molto bene, ovvero che queste Grandi Opere non garantiscono lavoro. Per me è stato un colpo, io facevo ferroviere, ho fatto attività sindacali, io sono rimasto negativamente impressionato quando ho visto il 15 marzo scorso quando ho visto uno sciopero dei sindacati confederali insieme alla confindustria. Ora, non perché non ci possano essere momenti anche di convergenza di interesse, ma qua non c'è convergenza d'interessi, una cosa che ci tengo a ribadire anche io è che veramente scavare buchi nelle montagne necessità di macchinari molto sofisticati; a Firenze ci siamo documentati; scavare con una fresa necessità di una squadra di 14/15 persone, che poi spesso vengono ridotte mettendo i lavorati in situazioni di scarsa sicurezza, ecco sono posti di lavoro irrisori. La gravità del momento, e questa credo che sia una cosa che dovremmo dire, è che qui in Italia si sta urlando che se non si fa un buco in Val di Susa si ferma l'Italia... e questa è violenza culturale. E purtroppo le persone che sono attaccate alla tv che non hanno opportunità di confronto non sanno. 

 RISPOSTA  Non dimentichiamo che oggi si dice spesso che la situazione è critica perché il capitale finanziario ha preso il sopravvento sul capitale industriale, ma in realtà molti studiosi (e condivido questa analisi, se volete vi invio testi a sostegno di questo) affermano che non è vero; è vero che il capitale finanziario ha preso molto spazio, ma l'ha preso in funzione di allungare il sistema capitalistico, non è che l'abbia sostituito. Non è che con un'industria così finanziata avremmo risolto il problema, è un passaggio nella storia del sistema capitalistico. E' comunque vero che se è così, l'estrazione di valore avviene su un numero sempre minore di lavori, resta il fatto che se non si produce qualcosa va tutto a rotoli: il capitalismo finanziario da solo non starebbe su se non ci fosse dietro qualcuno che comunque estrae qualcosa dal capitale naturale ed estrae qualcosa dal lavoro. Ma, detto questo, poi vediamo anche come nella storia del capitalismo si è tentato di ovviare a questo. le famose politiche keynesiane, che sono quelle attuate dagli anni “20 negli stati uniti e poi in Europa nel secondo dopoguerra, per cui in un momento di crisi economica lo stato si fa promotore e finanziatore di progetti, di Grandi Opere (c'era una grande necessità di costruire e ricostruire infrastrutture, ma anche scuole, ospedali ecc). Lo stato come fa? Si fa prestare dei soldi, finanzia anche tutte le imprese che ci lavorano, crea lavoro, e rientra di questo denaro prestato attraverso il sistema delle tassazioni: siccome ci sono più persone che lavorano, pagano le tasse in maniera equa più che proporzionale al loro reddito, e con questo si rientra e rimette in modo il meccanismo. Il problema è che dagli anni 80 in avanti è cambiata la musica: il principio è stato: basta Stato, sì mercato. Basta stato cosa vuol dire tradotto in soldoni? Meno tasse. Cosa sta cercando di proporre questo governo? La Flat Tax che è la riduzione al minimo possibile del sistema di tassazione, là dove un sistema keynesiano funziona soltanto se lo stato fa pagare poi molte tasse ai ricchi, in maniera che ora non esiste. E' un sistema che non ha storicamente possibilità di sostenersi. Un'altra criticità sta nel fatto (lo diceva Ponti): se dite che lo scavo di questa opera sia così redditizio e abbia così senso, perché non la fate finanziare dagli sceicchi arabi? Perché deve impegnarsi lo stato? Evidentemente perché non c'è nessun sceicco arabo abbastanza tonto che si offrirebbe. Lo stato fa da garante in una distribuzione ineguale della ricchezza: lo fa prelevando soldi da tutti, con le tasse, ma anche indebitando sempre di più ciascuno di noi, in un meccanismo perverso in cui siamo tutti che ci rimettiamo a vantaggio di pochi privati. 

Anche questa è una cosa aberrante però ormai sono gli ultimi colpi di coda di un capitale che non ha modo di sopravvivere.


________________________________


appunti dell'intervento e bibliografia

Elisabetta Forni, sociologa urbana dell'ambiente
Assisi 7 aprile 2019
  
1. Premessa
Tutto è connesso nella Terra, che è” la casa comune della vita”, come scrive Stefano Mancuso, neururobiologo vegetale di fama internazionale. E quello che possiamo e dobbiamo apprendere da questa connessione eco-sistemica tra il vegetale, il minerale e l' animale è che solo una visione complessa e complessiva ci può aiutare a sviluppare un pensiero critico sul mondo.  Ad esempio, è lo stesso Mancuso ad osservare  che “quando si parla di migranti, bisognerebbe studiare le piante per capire che si tratta di fenomeni inarrestabili” (L'incredibile viaggio delle piante, 2018).
Da qualche tempo si è andata affermando una analisi del rapporto tra la specie umana e il resto delle altre forme viventi sulla terra che è stato denominato 'antropocene' per sottolineare il ruolo dominante, predatorio e alla fine distruttivo che le società umane hanno progressivamente svolto dalla loro comparsa sul nostro pianeta, ma con un'accelerazione vertiginosa e tragica negli ultimi secoli.

2. Crisi irreversibile del paradigma capitalistico
Al fine dell'analisi che intendo abbozzare sarà dunque utile focalizzarci proprio su quest'ultima fase dell'antropocene, che viene sempre più spesso denominata 'capitalocene', ossia l'era del capitalismo, le cui caratteristiche sono così peculiari e dense di conseguenze da meritare una specifica denominazione. Gli studiosi tendono poi a distinguere e analizzare al suo interno diversi aspetti, tra loro connessi, quali il geo-capitalismo, il  capitalismo globale, il finanz-capitalismo, il narco-capitalismo, ecc.
Ancora oggi, anzi oggi più che mai, il punto di riferimento per la comprensione dei nessi tra energia e capitalismo e tra il capitalismo globale e la crisi ecologica-sociale  mondiale ci viene dalla possente mole di studi condotti da Marx e raccolti nell'opera il Capitale.
Ciò che sta emergendo dai contributi più recenti di studiosi soprattutto europei e statunitensi è che la crisi ecologica è il prodotto inevitabile del capitalismo, inteso come modo di produzione di valore(=danaro)  attraverso la produzione di merci. Condizione fondamentale di questo processo sarebbero  l'inesauribilità del capitale naturale (la  fertilità naturale, come la chiama Marx, dei terreni agricoli, delle miniere e dell'estrazione di energia fossile) e il lavoro umano dal quale estrarre valore nel processo di trasformazione del capitale naturale.Ma sappiamo bene dagli anni Settanta, quando il Club di Roma ha pubblicato il primo rapporto dell'MIT su 'I limiti della crescita', che il capitale naturale è sfruttato oltre le sue possibilità di rigenerazione e gli effetti dell'inquinamento prodotto dall'uso delle energie fossili producono cambiamenti climatici catastrofici destinati a porre fine all'antropocene. Il concetto di geo-capitalismo, ossia il capitalismo estrattivista,  sta dunque ad indicare  le differenti strategie che il capitale  mette in atto per fronteggiare la decrescente fertilità naturale del capitale (Padovan). Che il capitalismo globale  abbia comunque bisogno di continuare ad espropriare  terre coltivabili, minerali preziosi ed energia fossile sottraendoli alle popolazioni indigene per alimentare la catena del valore è fuori discussione (Bartolomei, Carminati,Tradardi). Basti pensare a quanto avviene in Amazzonia o in Africa, dove gli USA hanno appena 'comprato' in Congo 1 milione di ettari di terra. Il land grabbing per produrre bio-combustibli o lo sfruttamento delle miniere di coltan sono tutti nelle mani delle multinazionali del capitalismo globale. E non si creda che il vero problema che abbiamo oggi col capitalismo sia la sua finanziarizzazione, come se bastasse mettere sotto controllo quest'ultima per 'addolcire' le negatività di questo modo di produzione. Ce lo spiegano molto bene i filosofi tedeschi della Critica del valore (Kurtz, Jappe ecc)  : il finanz-capitalismo ha assunto il peso che ha assunto solo per compensare la contraddizione intrinseca al modo di produzione capitalistico stesso, ossia la legge della caduta tendenziale del saggio del profitto, e quindi per prolungare la vita di un sistema che altrimenti sarebbe già collassato.  Perchè di collasso si tratta: a) in Occidente la concorrenza spietata tra imprese e le lotte salariali hanno accelerato  l'automazione della produzione, resa necessaria dal calo della produttività e quindi dei profitti (unico vero obiettivo del modo di produzione capitalistico)  con perdite di occupazione irrecuperabili (calcolate tra il 10 e il 40%) : insomma da noi il capitalismo globale costringe a puntare su attività produttive ad alta intensità di capitale e bassa intensità di lavoro , e a  spostare la maggior parte delle attività industriali a più alta intensità di lavoro (ossia di occupazione) laddove nel mondo il costo del lavoro è più basso.  b)  nonostante lo sfruttamento estremo del capitale naturale attraverso il lavoro quasi schiavistico delle popolazioni indigene e attraverso acquisizioni a costi risibili di terre, miniere e petrolio/scisti bitminosi, ecc, ebbene nonostante questo, il capitale annaspa nel mantenere i margini di profitto che ne giustificano l'esistenza. E i danni all'ambiente provocano altre tragedie:  sempre più migrazioni epocali prodotte dai cambiamenti climatici si verificano e si verificheranno (Piguet, Pecoud e De Guchteneire).

3. Conflitti sociali e loro trasformazione
La fabbrica non è più in Occidente la fucina della lotta di classe per la semplice ragione che la classe operaia è stata semi-liquidata col ricatto dei licenziamenti e della disoccupazione  e si è ridotta numericamente in modo significativo.
 Tanti più lavoratori impoveriti e scartati dal meccanismo del profitto e dell'automazione, tanti meno consumatori di merci prodotte, con conseguenti crisi di sovraproduzione e ricerca di nuove 'orbite' produttive che però non compensano quelle andate in crisi; ma le merci sono prodotte  al solo scopo di estrarre valore dal lavoro di  chi le produce e dunque cresce l' accanimento delle imprese globali nell'ottenere il massimo valore nel minor tempo possibile e laddove è più facile disporre di manodopera mansueta, non conflittuale e controllata da regimi autoritari e anti-democratici, come nel Sud Est asiatico e in Cina.
Pur sapendo che sta segando il ramo sul quale siamo tutti seduti, il meccanismo nel suo insieme non si può fermare.  Questo spiega la ferocia e la cecità con la quale il capitale globale oggi  sta conducendo l'antropocene verso la sua fine. Ma Gaia sopravviverà alla fine dell'homo sapiens, che sapiens dimostra di non essere ….
Di questa  battaglia  fa parte l'apparato di manipolazione e condizionamento delle coscienze di cui necessita la violenza strutturale del capitale: lo fa attraverso la cosiddetta violenza culturale (Galtung) con la quale chi si appropria, con la forza e col potere di cui dispone, delle risorse necessarie al soddisfacimento dei bisogni fondamentali degli altri esseri umani creando disuguaglianze e gravi squilibri sociali, riesce ad offuscare, mascherare, drogare, manipolare la realtà di questa violenza strutturale presentandola come 'il male minore' o addirittura negando che sia una forma di violenza, fino a ribaltare la prospettiva per criminalizzare la povertà stessa e ovviamente il dissenso di chi si oppone e tenta di reagire (de Sutter; Giacché; Citton).

4. L'esperienza NoTav per la rinascita di un nuovo paradigma ecosistemico
 La nuova linea ferroviaria in Val Susa e il movimento NoTav come emblematico esempio: di grandi opere (ossia ad alta intensità di capitale anziché di lavoro), di spostamento dei conflitti sociali dalla fabbrica al territorio, di crescita di una coscienza ecologista per un paradigma alternativo, di sperimentazione di forme di solidarietà e di 'buen vivir' inedite, di reazione non violenta alla violenza strutturale e culturale del capitale (Forni).
Il momento attuale appare come molto critico : offensiva pesantissima di tutte le forze sociali neoliberiste per mettere nell'angolo il movimento noTAV mettendolo nell'angolo con la critica dell'analisi costi-benefici ((Wu Ming 1).. Necessità di riaprire ai movimenti ecologisti e pacifisti nazionali e internazionali, al coinvolgimento di importanti componenti del mondo cattolico legato all'Enciclica Laudato si'.

Bibliografia

Bartolomei E., Carminati D., Tradardi A., Esclusi. La globalizzazione neoliberista del colonialismo di insediamento, Derive Approdi, 2017,

Citton Y. (prefazione di E Wu Ming 1) , Mitocrazia, Storytelling e immaginario di sinistra, Edizioni Alegre, 2013,

de Sutter L, Narcocapitalismo. La vita nell'era dell'anestesia, Ombre Corte , 2018,


Galtung J., Cultural Violence, in “Journal of Peace Research”, 27,(3), 1990,

Giacché V, La fabbrica del falso. Strategie della menzogna nella politica contemporanea, Derive Approdi , 2008,

Mancuso S.,  L'incredibile viaggio delle piante, Ed Laterza, 2018,

Jappe A., Contro il denaro, Mimesis, 2013,

Kurtz R., Ragione sanguinaria, Mimesis, 2014,

Padovan D., Energy, Work and Value. The Crisis of the Capitalism/nature nexus, in Culture della Sostenibilità, anno XI, n.21/2018,

Padovan D., Social Morals and Ethics of Nature: from Peter Kropotkin to Murray Bookchin , in Democracy & Nature,THE INTERNATIONAL JOURNAL OF INCLUSIVE DEMOCRACY Vol. 5, No. 3 (November 1999),

Piguet, Pecoud e De Guchteneire (eds), Migration and climate change, Cambridge University Press, 2011,

Wu Ming 1, intervento alll'incontro del 31 marzo 2019 a Torino, cinema Massimo su 'LA FABBRICA DEL CONSENSO- Realtà/reality, vero/falso nella rappresentazione mediatica del TAV'.