venerdì 24 maggio 2019

Ama la terra come te stesso - Assisi - trascrizione dell'intervento di Elisabetta Forni - sociologa (non rivista dall'autore)


Nel ringraziare gli organizzatori di questo incontro,  
mi sento anche obbligata a scusarmi per l'approccio che ho inteso dare al mio contributo, mi rendo conto che è forse troppo pretenzioso e complesso per essere affrontato nel tempo che mi è stato assegnato, ma al tempo stesso non ho voluto rinunciare a questa sfida, di mettere sul tavolo e mettere a disposizione di chi è qui (di chi si è impegnato a realizzare questa cosa e chi ad essere presente ascoltando) la possibilità di riflettere su quelli che sono un po' gli strumenti del mio mestiere, perché penso che sia molto importante non fermarsi, non essere soltanto a testimoniare delle cose ma essere anche ad aumentare, ogni volta che ci si incontra, un po' la complessità della tematica e però anche gli strumenti per poterli analizzare con gli occhiali che ognuno è in grado di mettere. Io sono sociologa urbana dell'ambiente, affrontare una questione come questa che è stata posta anche dalla Laudato Si' e da tutti gli scienziati che nel corso di questi anni hanno studiato il tema in questione, mi sembra che sia una questione ineludibile, perché tocca anche aspetti cruciali delle nostre società - a livello globale, perché ormai è chiaro che la questione si pone a livello globale. 
Ecco, la prima considerazione che mi viene da porvi è proprio l'importanza di cogliere le connessioni, cioè il fatto che tutto è connesso, e anche nella Laudato si' questo concetto di Casa Comune credo che esprima molto bene proprio il senso della connessione.  Una connessione che è messa in luce anche da scienziati. Per esempio Stefano Mancuso, questo famoso neurobiologo vegetale, che ha scritto testi di fama internazionale, che lo sottolinea. E allora cogliere a livello ecosistemico la connessione tra i vari mondi, quello vegetale, quello minerale e quello animale (di cui anche noi facciamo parte, come specie homo sapiens) è un elemento fondamentale, perché soltanto così possiamo riuscire a sviluppare un pensiero critico che è fondamentale per poter agire. Fintanto che non abbiamo le idee chiare, criticamente su cosa sta succedendo, difficilmente possiamo fare delle scelte adeguate, appropriate, che vanno almeno nella direzione giusta. 
Tanto per sottolineare questa connessione, sempre Mancuso fa notare, parlando di migrazioni umane (che è un tema molto centrale e molto pertinente anche rispetto al discorso della crisi globale) come quando si parla di migranti “per capire il senso delle migrazioni bisognerebbe studiare le piante (lui è uno studioso di piante), per capire che si tratta di fenomeni inarrestabili. La storia delle piante è una storia di migrazioni possibili, di spostamenti continui, dovuto a spostamenti continui. Le piante si spostano sempre - attraverso i semi, i fiori - ed è un processo inarrestabile Alla stessa maniera le migrazioni umane sono un processo inarrestabile oltre che fondamentale per la sopravvivenza del sistema-mondo. Ecco in questo senso cogliere anche queste connessioni è cruciale.”

Quando si fa un'analisi della situazione attuale si parte sicuramente da molto lontano, cioè gli studiosi (soprattutto gli scienziati naturali) hanno introdotto già da alcuni anni il concetto di "antropocene" per esprimere il senso di un'era, tra quelle terrestri, dominata dall'homo sapiens. Da quando è comparso sulla terra l'homo sapiens, ha prodotto sulla terra delle trasformazioni che sono così significative e così legate proprio all'azione umana da giustificare la definizione di antropocene per dare un'idea di cos'è successo sulla terra da quando l'uomo è esistito. Il fatto è che questa presenza umana sulla terra ha trasformato in modo significativo e anche molto pesante l'ambiente, il pianeta Gaia, al punto tale da provocare negli ultimi secoli un'accelerazione vertiginosa e tragica i cui effetti stiamo vedendo, e che in questo precipitare provocherà degli effetti enormi non più nei prossimi secoli, ma nei prossimi decenni, come ci dicono gli scienziati. 
Ecco al fine dell'analisi che sto cercando di condividere con voi, vorrei concentrarmi su questi ultimi secoli. Questi ultimi secoli che, sempre di nuovo gli studiosi, hanno definito nell'ambito dell'antropocene, capitalocene. Che cos'è? E' l'epoca, il tempo, nel quale l'economia capitalistica ha avuto il sopravvento sui modi di produzione precedenti. Il modo di produzione tipico dell'economia capitalistica il modo di produzione industriale, e il meccanismo prodotto all'interno di questo approccio è un meccanismo che non vede più la produzione di beni come funzionale al soddisfacimento dei bisogni umani, ma vede la produzione di merci come lo strumento attraverso il quale produrre più valore, ossia più denaro. Allora all'interno di questo contesto poi si sono andate sviluppando anche espressione che rendono conto della complessità di questo fenomeno. Si parla di geocapitalismo, di capitalismo globale, di finanzcapitalismo, anche di narcocapitalismo, sono tutti modi per approfondire le specificità di questo processo, di questo meccanismo, ma la questione di fondo è che questo modo di produzione ha la caratteristica di ridurre sempre di più la variabile tempo appiattendola sull'immediato. Cioè, la logica del profitto capitalistico è una logica che non può, per sua intrinseca logica caratteristica natura, proiettarsi troppo in là nel futuro. Il raggiungimento della massimo profitto nel minor tempo possibile è l'obiettivo. Per realizzare questo c'è sicuramente bisogno di attingere al capitale naturale, cioè quella che Marx chiamava la fertilità naturale della terra, e questo continua ad esserci, ad esistere anzi in maniera sempre più massiccia, nella logica che questo capitale naturale è un materiale inesauribile, mentre gli scienziati ci hanno dimostrato - dopo il più sistematico, dagli anni “70 quando il Cub di Roma ha commissionato la famosa ricerca all'MIT sui limiti della crescita - che non è affatto vero che questo capitale è inesauribile.
Una società che è cresciuta, dagli albori della rivoluzione industriale, sulla disponibilità illimitata di materiale fossile, è una società che non è stata assolutamente in grado di porre dei limiti al proprio meccanismo di crescita, là dove invece i limiti ci sono. I limiti della crescita ci sono, e stanno nel fatto che le risorse sono esauribili, che stiamo vivendo al di sopra delle nostre risorse naturali, che l'utilizzo delle materie fossili produce un'effetti di stravolgimento climatico, che porteranno al collasso del pianeta eccetera eccetera, sono tutte cose che voi sapete bene e su cui non mi soffermo. quello che mi interessa sottolineare però di tutto questo è che la componente fondamentale di questo processo è duplice. Da un lato lo sfruttamento del capitale naturale, l'altro è lo sfruttamento del lavoro umano. E' attraverso il lavoro umano che si produce valore. Però in questo sta la contraddizione fondamentale del sistema capitalistico, perché nella logica della competizione tra imprese, che è un'altra caratteristica fondamentale del sistema capitalistico, è stato necessario in contesto occidentale (dove si è sviluppato il sistema industriale) di sostituire il lavoro umano con la tecnologia, perché era l'unica condizione per mantenere profitti ad un livello tale per giustificare l'operazione di estrazione del valore, ma in questa maniera si è determinato quello che nell'analisi marxiana è chiamata la caduta tendenziale del saggio del profitto, ossia se come capitalista io punto al massimo del profitto, devo cercare di contrarre quello che, nella logica della sopravvivenza della forza lavoro, do al lavoratore in cambio del suo lavoro. In questa sottrazione produco, come effetto, la riduzione del potere di acquisto dei lavoratori, o addirittura il licenziamento dei lavoratori, la perdita del lavoro perché sostituisco il lavoro con le macchine, che realizzano maggiore profitto. E con questo però produco un effetto che va contro l'interesse del capitale, e cioè riduco il numero di potenziali consumatori, che sono quelli che comprano le merci che io produco, e che produco soltanto in funzione della realizzazione del profitto.
E la ragione per cui si è andata creando questo sistema di capitalismo globale non solo a fine estrattivi delle materie prime, ma anche a fini di delocalizzazione dei sistemi produttivi industriali ma meno automatizzati, in quei paesi del mondo dove la manodopera costa poco, mantenendo invece in occidente le imprese a più alta intensità di capitale, quindi con maggiore tecnologia.  Questo lo dico anche perché è molto importante e molto utile capire questo meccanismo quando andiamo ad analizzare la ragione per cui in occidente uno dei pochi settori produttivi che sono rimasti, a parte le città nelle quali si concentra la finanzia, in cui si concentra i saperi più elevati, più qualificati che producono idee che vengono poi applicate ai sistemi di estrazione di valore, quello che in occidente sopravvive non a caso sono le  Grandi Opere.
Le Grandi Opere sono quelle nelle quali si può ottenere la maggiore estrazione di valore con tecnologie ad alta intensità e appunto di capitale.
La talpa che scava i buchi in Val Susa è una macchina sofisticatissima, che sostituisce il lavoro che una volta, per scavare un tunnel, veniva fatto da squadre immense di minatori. il risultato è che il profitto resta nelle mani di pochi, nonostante ci venga detto che tutto questo serve per produrre lavoro; in realtà serve per produrre valore per pochi.  Detto questo vorrei ancora sottolineare una cosa che mi sembra molto importante. Questa crisi del capitalismo è una crisi irreversibile perché, come dire, è proprio un sistema che contiene dentro di sé i germi della propria distruzione. Questo l'hanno capito in tanti, l'hanno capito forse anche gli stessi capitalisti, ma questo non fa che renderli più rabbiosi, più avidi, perché sanno che devono comunque sfruttare tutto quello che possono nel minor tempo possibile. Dunque non è certo perché non sanno, non è il negazionismo da ignoranza, è un negazionismo da avidità, come dire. Sì certo, stiamo segando il ramo su cui siamo tutti seduti, però intanto noi qualcosa ci guadagniamo, e poi tanto cosa possiamo fare?  In tutto questo - è chiaro che c'è la parte di chi non ha in mano le leve del potere, il controllo dell'economia un'esigenza fondamentale di sopravvivenza. Cioè, le grandi massi popolari, sia in occidente che nel così detto terzo mondo, sono di fronte a una necessità altrettanto immediata, perché comunque bisogna riuscire a mangiare qualcosa per arrivare a sera. E questa condizione di progressiva deprivazione materiale, è chiaro che toglie anche molte risorse alle persone, per ragionare e per poter guardare al di là della giornata alla fine della quale deve riuscire ad arrivare con la pancia piena. Ed è molto difficile per le persone anche riuscire ad immaginarsi al di fuori di una logica del lavoro. Gli stessi sindacati che cosa fanno, tendenzialmente? Lottano per il lavoro, ma anche perché ci siano sempre più persone con un lavoro salariato, laddove il lavoro salariato è proprio per definizione, per logica capitalista, un lavoro che è creato apposta per estrarre valore, che arricchisce chi è proprietario dei mezzi di produzione. Dunque la strada alla quale dobbiamo puntare per uscire da questa crisi che comunque ci sarà è quella di riuscire a cominciare a pensare ad un'alternativa al lavoro, inteso come lavoro salariato, perché è questo il concetto.  Lavoro significa lavoro salariato, così come economia non è diverso da economia capitalistica. E come uscire da questo?
Ecco guardando a quelle realtà in giro per il mondo dove si sta tentando di creare un sistema alternativo che è fatto di attività umane non basate sull'estrazione di valore; attività umane basate sul soddisfacimento dei veri bisogni, non dei bisogni fittizi creati da un sistema consumistico che è esattamente teso allo scopo di arricchire qualcuno creando tra l'altro spreco di risorse, un'accumulazione spaventosa dei rifiuti e così via. Ci sono realtà che stanno cercando di muoversi in questo quadro, ma naturalmente restano moltissimi problemi da affrontare, perché ormai viviamo in una connessione tale per cui è molto difficile rinunciare a certe cose, è difficile riuscire anche soltanto a liberarsi da certi condizionamenti nei nostri consumi, nel nostro stile di vita, per quanto ci si possa sforzare di fare questo lavoro di immaginazione. Però credo a questo che bisogna continuare a puntare, mettendo insieme tutte le forze che consapevolmente possono andare in questa direzione.
In questo vedo come estremamente positivo quello che sta succedendo in Val di Susa, perché è a mio avviso un esempio di una società che si è progressivamente emancipata da una dimensione soltanto locale e personale, di soluzione di un problema. E' una società che si è autoformata. E' una specie di esempio dell'università della strada, di università popolare, nella quale tutti i cittadini, tutte le persone che vivono lì si sono ad un certo punto interrogate su cosa stava succedendo, e non si sono limitate ad una risposta diciamo localistica, ma hanno voluto capire, e nel farlo hanno coinvolto sempre più persone scienziati, persone che venivano dal mondo delle religioni, della fede, cercando tutti i contributi possibili per poter esercitare un'azione di informazione e di convincimento. 

Credo che nel fare quest'operazione si siano trovate a fronteggiare in una maniera diciamo straordinaria la complessità di un sistema che punta su tre aspetti e su tre modalità di violenza.  Ci tengo a sottolineare questo perché siccome uno dei tentativi che vengono messi in atto da parte di chi vuole il tav (o che in questo vuole simbolicamente e accanitamente questo modello di sviluppo appunto capitalistico e basato sul profitto) lo fa nello spirito di criminalizzare invece chi è contrario. Questa criminalizzazione c'è un esercizio di violenza che è altrettanto forte come la violenza che in realtà viene inflitta, come tutte le popolazioni sulle quali con l'uso del proprio potere si vuole produrre un'effetto che è negativo per quella popolazione. C'è uno studioso norvegese che si chiama Johan Galtung, che è uno dei più grossi studiosi della pace, della risoluzione non violenza dei conflitti, che ha analizzato come la violenza, per capirne i meccanismi, vada divisa in tre sue forme fondamentali.
La più ovvia è la violenza diretta, di chi esercita fisicamente un'azione su un'altra persona, sia uno che accoltella un altro, la polizia che prende a manganellate una persone o un gruppo di manifestanti, ma la violenza diretta è uno degli strumenti che spesso vengono messi in atto da chi usa una violenza strutturale.
Cos'è? La violenza di chi ha in mano il controllo, o vuole mantenere i controllo dell'economia, delle fonti di sopravvivenza di una popolazione su un'altra. E avendo in mano questo strumenti li esercita anche sottraendo alle altre persone le risorse fondamentali per vivere, o vivere degnamente.  Molto spesso, o comunque nelle società più "evolute", c'è uno strumento che viene utilizzato per mantenere lo status quo, e cioè per continuare ad esercitare la violenza strutturale, ed è la violenza culturale.
Ecco io credo che nel caso della Valsusa, come in molti altri esempi di lotte popolari non violente, la violenza culturale prende la forma della fabbrica della menzogna (c'è un bellissimo libro di Vladimiro Giacchè che spiega bene come con l'uso soprattutto dei media, che sono pagati e condizionati, sono addirittura nelle mani proprietarie degli stessi imprenditori che fanno profitti con le  Grandi Opere o altre attività di questo genere - ecco la violenza culturale si esercita nell'offuscare la verità, nel manipolarla, nel presentarla in una maniera stravolta,

Ecco, entriamo nello specifico del NoTav - nel presentare il movimento no tav come una banda di montagnini che vorrebbero la decrescita perché stanno bene con le capre su per i pascoli, e ci lascino allora in pace, ci lasciano crescere il Pil e restino in montagna a occuparsi di quello; è la violenza culturale di chi trasforma la questione del no tav in una questione complessiva, discriminante tra chi vuole continuare a star bene e chi vuole andare indietro. Tutto questo avviene con una strumentazione enorme, da collezioni dello stesso Osservatorio, il repertorio che è messo in gioco e ancora è messo in gioco dai media perché questo funzioni... e devo dire, hanno alzato anche molto il tiro ultimamente. Abbiamo assistito ad un intensificarsi di questa battaglia con gli strumenti della violenza culturale, con le manifestazioni in piazza dei si tav, proprio uno schieramento di forze proprio a livello industriale, imprenditoriale, che non si era tanto visto in passato. Cosa vuol dire questo? Sono consapevoli del fatto che c'è in gioco veramente qualcosa di grosso; cioè, l'accanimento che i si tav stanno mettendo in questo loro sforzo, è un'accanimento che è un po' la misura della criticità del momento. Il tentativo di raccogliere anche intorno a sè quei consensi di quegli strati della popolazione che continuano a illudersi che questo modello di sviluppo capitalistico possa continuare, ma che sono sempre più penalizzati, i ceti medi. Io sono convinta che ci sia un grosso tentativo di garantirsi il consenso di quegli strati della popolazione che fino adesso hanno continuato più o meno a sopravvivere nonostante la crisi (Torino ad esempio continua a esserci crisi economica); questi ceti medi fatti anche di professionisti, architetti, tecnici, che non trovano più lavoro, non sanno più cosa fare... se questi non si tengono a bada con l’illusione che grazie ai lavori del tav che ripartono, è chiaro che la situazione precipita, quindi c'è questo sforzo enorme. E credo invece che da chi è consapevole della situazione, ci voglia uno sforzo enorme, congiunto, per comunicare le cose come stanno, e credo che questa occasione sia molto importante perché, pochi o tanti che siamo, fa uscire la questione fuori dai confini della Valsusa, della regione (che sappiamo come è amministrata e che posizione ha rispetto all'opera) e soprattutto tenti un congiungimento con il mondo che ruota attorno alla Laudato si' - che non so quanto grande sia, io non faccio parte del mondo cattolico e non ho idea veramente di quanta mobilitazione sia possibile realizzare attraverso le parrocchie, attraverso tutti i gruppi cattolici - però ritengo che sia fondamentale fare questa operazione più in fretta possibile e creare delle reti (ieri è intervenuto un collega che parlava della necessità per esempio di allargare la rete dell'informazione sul movimento NoTriv ecc - su questo lavoro di espropriazione e di sottrazione di risorse vitale alle comunità alla sua intera terra) Ecco, io credo sia l'ora di fare questo. Io credo che il movimento no tav, perché è il più antico, è quello che ha maturato pi consapevolezze, più capacità, proprio grazie alla sua intergenerazionalità, abbia da svolgere questo ruolo anche a livello nazionale, e mi auguro veramente che da questo momento si apra un nuovo scenario di coinvolgimento e di vicinanza tra mondi che condividono tutti questa visione, non di rapina ma di trasformazione del mondo in un modello che molti di noi chiamiamo “buen vivir” per indicare un approccio diametralmente opposto alla vita. 

 DOMANDA Molte riflessioni che ha fatto le ho fatte anche io facendo un'altra strada. Io non vengo dal mondo marxista, vengo dal mondo della non violenza, ma le conclusioni a cui sono arrivato nel guardare alle Grandi Opere è assolutamente convergente con questa analisi che hai fatto. L'unica cosa che c'è di diverso è che mentre i profitti delle imprese sono fatti vendendo merci quindi sono fatti di un mercato, le  Grandi Opere inutili non sono un prodotto venduto a qualcuno, sono un prodotto al di fuori del mercato; mi sembra che qui ci sia un passo ulteriore: qui è solamente l'ente pubblico, nel caso del tav è lo stato, ma nel caso piccolo possono essere regioni, comuni, è sempre la collettività che paga, che garantisce quelli che io non so se si possono più chiamare profitti perché sono semplicemente rendita.  Io ho l'impressione a volte che il sistema economico si stia involvendo in una maniera a quello che era l'ancient regime, prima della rivoluzione francese quando i nobili erano ad oziare a Versailles e il popolo pagava per i loro inutili passatempi. Mi sembra si stia andando in una nuova forma dove ci sono tutte le dinamiche di uno sfruttamento forte, ma c'è anche questo aspetto che non so poi come diventerà; sicuramente un'aspetto che messo in evidenza molto bene, ovvero che queste Grandi Opere non garantiscono lavoro. Per me è stato un colpo, io facevo ferroviere, ho fatto attività sindacali, io sono rimasto negativamente impressionato quando ho visto il 15 marzo scorso quando ho visto uno sciopero dei sindacati confederali insieme alla confindustria. Ora, non perché non ci possano essere momenti anche di convergenza di interesse, ma qua non c'è convergenza d'interessi, una cosa che ci tengo a ribadire anche io è che veramente scavare buchi nelle montagne necessità di macchinari molto sofisticati; a Firenze ci siamo documentati; scavare con una fresa necessità di una squadra di 14/15 persone, che poi spesso vengono ridotte mettendo i lavorati in situazioni di scarsa sicurezza, ecco sono posti di lavoro irrisori. La gravità del momento, e questa credo che sia una cosa che dovremmo dire, è che qui in Italia si sta urlando che se non si fa un buco in Val di Susa si ferma l'Italia... e questa è violenza culturale. E purtroppo le persone che sono attaccate alla tv che non hanno opportunità di confronto non sanno. 

 RISPOSTA  Non dimentichiamo che oggi si dice spesso che la situazione è critica perché il capitale finanziario ha preso il sopravvento sul capitale industriale, ma in realtà molti studiosi (e condivido questa analisi, se volete vi invio testi a sostegno di questo) affermano che non è vero; è vero che il capitale finanziario ha preso molto spazio, ma l'ha preso in funzione di allungare il sistema capitalistico, non è che l'abbia sostituito. Non è che con un'industria così finanziata avremmo risolto il problema, è un passaggio nella storia del sistema capitalistico. E' comunque vero che se è così, l'estrazione di valore avviene su un numero sempre minore di lavori, resta il fatto che se non si produce qualcosa va tutto a rotoli: il capitalismo finanziario da solo non starebbe su se non ci fosse dietro qualcuno che comunque estrae qualcosa dal capitale naturale ed estrae qualcosa dal lavoro. Ma, detto questo, poi vediamo anche come nella storia del capitalismo si è tentato di ovviare a questo. le famose politiche keynesiane, che sono quelle attuate dagli anni “20 negli stati uniti e poi in Europa nel secondo dopoguerra, per cui in un momento di crisi economica lo stato si fa promotore e finanziatore di progetti, di Grandi Opere (c'era una grande necessità di costruire e ricostruire infrastrutture, ma anche scuole, ospedali ecc). Lo stato come fa? Si fa prestare dei soldi, finanzia anche tutte le imprese che ci lavorano, crea lavoro, e rientra di questo denaro prestato attraverso il sistema delle tassazioni: siccome ci sono più persone che lavorano, pagano le tasse in maniera equa più che proporzionale al loro reddito, e con questo si rientra e rimette in modo il meccanismo. Il problema è che dagli anni 80 in avanti è cambiata la musica: il principio è stato: basta Stato, sì mercato. Basta stato cosa vuol dire tradotto in soldoni? Meno tasse. Cosa sta cercando di proporre questo governo? La Flat Tax che è la riduzione al minimo possibile del sistema di tassazione, là dove un sistema keynesiano funziona soltanto se lo stato fa pagare poi molte tasse ai ricchi, in maniera che ora non esiste. E' un sistema che non ha storicamente possibilità di sostenersi. Un'altra criticità sta nel fatto (lo diceva Ponti): se dite che lo scavo di questa opera sia così redditizio e abbia così senso, perché non la fate finanziare dagli sceicchi arabi? Perché deve impegnarsi lo stato? Evidentemente perché non c'è nessun sceicco arabo abbastanza tonto che si offrirebbe. Lo stato fa da garante in una distribuzione ineguale della ricchezza: lo fa prelevando soldi da tutti, con le tasse, ma anche indebitando sempre di più ciascuno di noi, in un meccanismo perverso in cui siamo tutti che ci rimettiamo a vantaggio di pochi privati. 

Anche questa è una cosa aberrante però ormai sono gli ultimi colpi di coda di un capitale che non ha modo di sopravvivere.


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appunti dell'intervento e bibliografia

Elisabetta Forni, sociologa urbana dell'ambiente
Assisi 7 aprile 2019
  
1. Premessa
Tutto è connesso nella Terra, che è” la casa comune della vita”, come scrive Stefano Mancuso, neururobiologo vegetale di fama internazionale. E quello che possiamo e dobbiamo apprendere da questa connessione eco-sistemica tra il vegetale, il minerale e l' animale è che solo una visione complessa e complessiva ci può aiutare a sviluppare un pensiero critico sul mondo.  Ad esempio, è lo stesso Mancuso ad osservare  che “quando si parla di migranti, bisognerebbe studiare le piante per capire che si tratta di fenomeni inarrestabili” (L'incredibile viaggio delle piante, 2018).
Da qualche tempo si è andata affermando una analisi del rapporto tra la specie umana e il resto delle altre forme viventi sulla terra che è stato denominato 'antropocene' per sottolineare il ruolo dominante, predatorio e alla fine distruttivo che le società umane hanno progressivamente svolto dalla loro comparsa sul nostro pianeta, ma con un'accelerazione vertiginosa e tragica negli ultimi secoli.

2. Crisi irreversibile del paradigma capitalistico
Al fine dell'analisi che intendo abbozzare sarà dunque utile focalizzarci proprio su quest'ultima fase dell'antropocene, che viene sempre più spesso denominata 'capitalocene', ossia l'era del capitalismo, le cui caratteristiche sono così peculiari e dense di conseguenze da meritare una specifica denominazione. Gli studiosi tendono poi a distinguere e analizzare al suo interno diversi aspetti, tra loro connessi, quali il geo-capitalismo, il  capitalismo globale, il finanz-capitalismo, il narco-capitalismo, ecc.
Ancora oggi, anzi oggi più che mai, il punto di riferimento per la comprensione dei nessi tra energia e capitalismo e tra il capitalismo globale e la crisi ecologica-sociale  mondiale ci viene dalla possente mole di studi condotti da Marx e raccolti nell'opera il Capitale.
Ciò che sta emergendo dai contributi più recenti di studiosi soprattutto europei e statunitensi è che la crisi ecologica è il prodotto inevitabile del capitalismo, inteso come modo di produzione di valore(=danaro)  attraverso la produzione di merci. Condizione fondamentale di questo processo sarebbero  l'inesauribilità del capitale naturale (la  fertilità naturale, come la chiama Marx, dei terreni agricoli, delle miniere e dell'estrazione di energia fossile) e il lavoro umano dal quale estrarre valore nel processo di trasformazione del capitale naturale.Ma sappiamo bene dagli anni Settanta, quando il Club di Roma ha pubblicato il primo rapporto dell'MIT su 'I limiti della crescita', che il capitale naturale è sfruttato oltre le sue possibilità di rigenerazione e gli effetti dell'inquinamento prodotto dall'uso delle energie fossili producono cambiamenti climatici catastrofici destinati a porre fine all'antropocene. Il concetto di geo-capitalismo, ossia il capitalismo estrattivista,  sta dunque ad indicare  le differenti strategie che il capitale  mette in atto per fronteggiare la decrescente fertilità naturale del capitale (Padovan). Che il capitalismo globale  abbia comunque bisogno di continuare ad espropriare  terre coltivabili, minerali preziosi ed energia fossile sottraendoli alle popolazioni indigene per alimentare la catena del valore è fuori discussione (Bartolomei, Carminati,Tradardi). Basti pensare a quanto avviene in Amazzonia o in Africa, dove gli USA hanno appena 'comprato' in Congo 1 milione di ettari di terra. Il land grabbing per produrre bio-combustibli o lo sfruttamento delle miniere di coltan sono tutti nelle mani delle multinazionali del capitalismo globale. E non si creda che il vero problema che abbiamo oggi col capitalismo sia la sua finanziarizzazione, come se bastasse mettere sotto controllo quest'ultima per 'addolcire' le negatività di questo modo di produzione. Ce lo spiegano molto bene i filosofi tedeschi della Critica del valore (Kurtz, Jappe ecc)  : il finanz-capitalismo ha assunto il peso che ha assunto solo per compensare la contraddizione intrinseca al modo di produzione capitalistico stesso, ossia la legge della caduta tendenziale del saggio del profitto, e quindi per prolungare la vita di un sistema che altrimenti sarebbe già collassato.  Perchè di collasso si tratta: a) in Occidente la concorrenza spietata tra imprese e le lotte salariali hanno accelerato  l'automazione della produzione, resa necessaria dal calo della produttività e quindi dei profitti (unico vero obiettivo del modo di produzione capitalistico)  con perdite di occupazione irrecuperabili (calcolate tra il 10 e il 40%) : insomma da noi il capitalismo globale costringe a puntare su attività produttive ad alta intensità di capitale e bassa intensità di lavoro , e a  spostare la maggior parte delle attività industriali a più alta intensità di lavoro (ossia di occupazione) laddove nel mondo il costo del lavoro è più basso.  b)  nonostante lo sfruttamento estremo del capitale naturale attraverso il lavoro quasi schiavistico delle popolazioni indigene e attraverso acquisizioni a costi risibili di terre, miniere e petrolio/scisti bitminosi, ecc, ebbene nonostante questo, il capitale annaspa nel mantenere i margini di profitto che ne giustificano l'esistenza. E i danni all'ambiente provocano altre tragedie:  sempre più migrazioni epocali prodotte dai cambiamenti climatici si verificano e si verificheranno (Piguet, Pecoud e De Guchteneire).

3. Conflitti sociali e loro trasformazione
La fabbrica non è più in Occidente la fucina della lotta di classe per la semplice ragione che la classe operaia è stata semi-liquidata col ricatto dei licenziamenti e della disoccupazione  e si è ridotta numericamente in modo significativo.
 Tanti più lavoratori impoveriti e scartati dal meccanismo del profitto e dell'automazione, tanti meno consumatori di merci prodotte, con conseguenti crisi di sovraproduzione e ricerca di nuove 'orbite' produttive che però non compensano quelle andate in crisi; ma le merci sono prodotte  al solo scopo di estrarre valore dal lavoro di  chi le produce e dunque cresce l' accanimento delle imprese globali nell'ottenere il massimo valore nel minor tempo possibile e laddove è più facile disporre di manodopera mansueta, non conflittuale e controllata da regimi autoritari e anti-democratici, come nel Sud Est asiatico e in Cina.
Pur sapendo che sta segando il ramo sul quale siamo tutti seduti, il meccanismo nel suo insieme non si può fermare.  Questo spiega la ferocia e la cecità con la quale il capitale globale oggi  sta conducendo l'antropocene verso la sua fine. Ma Gaia sopravviverà alla fine dell'homo sapiens, che sapiens dimostra di non essere ….
Di questa  battaglia  fa parte l'apparato di manipolazione e condizionamento delle coscienze di cui necessita la violenza strutturale del capitale: lo fa attraverso la cosiddetta violenza culturale (Galtung) con la quale chi si appropria, con la forza e col potere di cui dispone, delle risorse necessarie al soddisfacimento dei bisogni fondamentali degli altri esseri umani creando disuguaglianze e gravi squilibri sociali, riesce ad offuscare, mascherare, drogare, manipolare la realtà di questa violenza strutturale presentandola come 'il male minore' o addirittura negando che sia una forma di violenza, fino a ribaltare la prospettiva per criminalizzare la povertà stessa e ovviamente il dissenso di chi si oppone e tenta di reagire (de Sutter; Giacché; Citton).

4. L'esperienza NoTav per la rinascita di un nuovo paradigma ecosistemico
 La nuova linea ferroviaria in Val Susa e il movimento NoTav come emblematico esempio: di grandi opere (ossia ad alta intensità di capitale anziché di lavoro), di spostamento dei conflitti sociali dalla fabbrica al territorio, di crescita di una coscienza ecologista per un paradigma alternativo, di sperimentazione di forme di solidarietà e di 'buen vivir' inedite, di reazione non violenta alla violenza strutturale e culturale del capitale (Forni).
Il momento attuale appare come molto critico : offensiva pesantissima di tutte le forze sociali neoliberiste per mettere nell'angolo il movimento noTAV mettendolo nell'angolo con la critica dell'analisi costi-benefici ((Wu Ming 1).. Necessità di riaprire ai movimenti ecologisti e pacifisti nazionali e internazionali, al coinvolgimento di importanti componenti del mondo cattolico legato all'Enciclica Laudato si'.

Bibliografia

Bartolomei E., Carminati D., Tradardi A., Esclusi. La globalizzazione neoliberista del colonialismo di insediamento, Derive Approdi, 2017,

Citton Y. (prefazione di E Wu Ming 1) , Mitocrazia, Storytelling e immaginario di sinistra, Edizioni Alegre, 2013,

de Sutter L, Narcocapitalismo. La vita nell'era dell'anestesia, Ombre Corte , 2018,


Galtung J., Cultural Violence, in “Journal of Peace Research”, 27,(3), 1990,

Giacché V, La fabbrica del falso. Strategie della menzogna nella politica contemporanea, Derive Approdi , 2008,

Mancuso S.,  L'incredibile viaggio delle piante, Ed Laterza, 2018,

Jappe A., Contro il denaro, Mimesis, 2013,

Kurtz R., Ragione sanguinaria, Mimesis, 2014,

Padovan D., Energy, Work and Value. The Crisis of the Capitalism/nature nexus, in Culture della Sostenibilità, anno XI, n.21/2018,

Padovan D., Social Morals and Ethics of Nature: from Peter Kropotkin to Murray Bookchin , in Democracy & Nature,THE INTERNATIONAL JOURNAL OF INCLUSIVE DEMOCRACY Vol. 5, No. 3 (November 1999),

Piguet, Pecoud e De Guchteneire (eds), Migration and climate change, Cambridge University Press, 2011,

Wu Ming 1, intervento alll'incontro del 31 marzo 2019 a Torino, cinema Massimo su 'LA FABBRICA DEL CONSENSO- Realtà/reality, vero/falso nella rappresentazione mediatica del TAV'.





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