venerdì 24 maggio 2019

Ama la terra come te stesso - Assisi - trascrizione dell'intervento di Alberto Ziparo (non rivista dall'autore).



Secondo me la genialità di Laudato Si' è stata quella di rilanciare una visione.
Francesco di oggi, con le parole del Francesco fondatore, ha rilanciato una visione del mondo che è quella che dobbiamo avere necessariamente per governare i processi e poi (credo che l'abbia colto già Elisabetta Forni) si è voluto rivolgere ad un mondo a lui più vicino che è anche istituzione per dire guardate che veramente la
situazione è messa male.
Se non diventiamo una componente importante che veicola questa cosa
  tutto continuerà a degradarsi, tutto continuerà a peggiorare e qui c'è un problema: tutte le istituzioni oggi sono state messe in crisi dalla finanziarizzazione.
Io sono d'accordo che non è che quando c'era capitale industriale invece che capitale finanziario le cose fossero diverse però non c'è mai stata, come in questo momento, la penetrazione. Il discorso poi è un discorso di scelte, un discorso di politica nel senso di polis, ma quelli che difendiamo questo concetto di polis forse siamo il mondo in qualche modo rappresentato anche qui dentro e altri sono lontanissimi da questo. 
Un personaggio che rappresenta oggi molto bene questo è quello che è stato sindaco di Torino, presidente della fondazione Banco S.Paolo e poi presidente della regione. L'attenzione qual è? Che ognuno per le sue istituzioni deve stare attento, c'è una penetrazione della finanza nell'economia e nella politica - che non vuol dire solo la politica istituzionale - vuol dire penetrazione nelle istituzioni qualsiasi, sono nell'università, nella sanità... Arriva un momento in cui ti chiedi conviene di più continuare a battersi per le cose giuste o conviene aderire a questo sistema? Questo è uno dei problemi che ci sono ma non credo sia la cosa più importante.
Il discorso che abbiamo cominciato a fare ieri è una domanda fortissima di politica nuova e questo deve essere tenuto nel giusto conto, però io credo che la genialità dell'operazione Laudato Sì' è stata quella di recuperare con le parole di Francesco una serie di posizioni che nella comunità scientifica erano presenti – e in larghi pezzi poi nel mondo ambientalista, di chi difende il territorio ecc - erano presenti da tempo e di dargli una forma di visione generale. Che poi ci sia questa circostanza per cui i ragazzi, tra l'altro non provenienti dalla stesse esperienze, hanno colto questa cosa e venerdì santo la ragazzina svedese che ha lanciato questo allarme clima / difendiamo l'ambiente, va a Roma. Non so, non mi pare che ancora sia previsto un incontro su questa cosa, però credo che sia una di quelle cose positive che permettono anche di smuovere una certa tendenza alla penetrazione.

Il mio tema era un tema che è stato rilanciato negli ultimi anni da Salvatore Settis, Tomaso Montanari, già citato ieri, Guido Viale che è stato qui ed altri che dicevano che il futuro del bel Paese è nel bel Paese. Bel Paese era il modo con cui, prima di Fortebraccio - il notista ironico de L'Unità - molto prima, i viaggiatori del Gran Tour da Byron a Chateaubriand, tutti quelli che sono venuti tra settecento e ottocento (molti si sono fermati qui), amavano l'Italia.
Del resto a parte il paesaggio che abbiamo fatto di tutto per distruggere, ma ancora presenta aspetti incredibilmente belli, io amo leggere in treno e mentre venivo da Roma ad un certo punto ho messo da parte la lettura e mi sono messo a guardare fuori la verde Umbria che poi si scopre come diceva un attimo fa il monsignore attenzione ai pesticidi alla chimica ecc perché se muoiono cani e gatti...
Questa posizione italiana degli ultimi anni che ricorda - noi abbiamo oltre il 60% dei beni artistici storico culturali del mondo - abbiamo uno dei più grandi paesaggi del mondo, ma non riusciamo a farne una grande voce in economia, ma questa è la interpretazione, tra l'altro aggiornata, di letture che vengono avanti in urbanistica, economia,  in sociologia, antropologia ecc da molti anni.
Il passaggio dall'economia alla finanza rappresenta il fatto.
Basta leggersi Piketty che spiegava perché sono tornate di attualità le analisi marxiste, perché tra l'altro ci siamo accorti che in un discorso keynesiano chi non gestiva il gioco si pigliava le briciole, ma si pigliava almeno le briciole, qualche ricaduta c'era, quando ci spostiamo dall'altra parte, quando tutto diventa gioco finanziario allora è come diceva Tiziano prima: siamo alla corte del re Sole, ci sono alcuni, pochissimi l'1% diceva Toni Atkinson, che partecipano a questo gioco e si spartiscono questo gioco drenando continuamente risorse di tutti noi che però siamo esclusi completamente da questo gioco, un buco nero in cui si distruggono risorse reali per trasformare in risorse di un gioco.
Io ho studiato a Torino, il terzo giorno che ero al Poli entrò Beppe Gemonat che era il figlio del filosofo che insegnava matematica e ci fece un'ottima lezione non di analisi matematica  e ci disse: “Ricordatevi che avete 4 lettere sulla testa, Fabbrica Italiana Automobili Torino”, poi io facevo civile e poi addirittura ho fatto urbanistica quindi... ma mi è servita quella lezione perché noi abbiamo un territorio nazionale che è stato condizionato dai grandi monopolismi industriali, è stato condizionato dal fatto che prima della prima guerra mondiale il bisnonno di questa famiglia è andato dal primo ministro e ha detto: “Io mi assumo tutto quello, (era stata la prima crisi del settore automobilistico) noi siamo in grado spostandoci da Como a Torino ad assumerci tutte queste aziende in crisi però voglio una politica protezionistica”.  Il protezionismo italiano si è esteso non solo al settore auto ma a quello che serviva per il settore auto, cioè al settore infrastrutturale fino al territorio e all'urbanistica. A Firenze se si fosse costruito il passante ferroviario quando era stato proposto la prima volta, cioè all'indomani della seconda guerra mondiale, i problemi sarebbero stati sostanzialmente gli stessi, perché il bacino dell'Arno ha la delicatezza che ha, la granulometria del terreno è quella che è e lì attraversava case che erano già state costruite tra l'unità d'Italia e le due guerre però, in molte altre realtà italiane, quello era il momento di fare le grandi infrastrutture urbane come è avvenuto nel nord Europa dove abbiamo le ferrovie urbane, le autostrade urbane dettate però dalla pianificazione, come in nord America. No, noi in quel momento abbiamo dovuto privilegiare il trasporto su gomma, era lì la libertà di trasporto privato e quindi praticamente con quello che Secchi, Bernardo Secchi un grande urbanista che ci ha lasciato l'anno scorso, chiamava la crescita spontanea incrementale della città italiana era una perfetta convergenza al monopolista automobilistico, che d'altra parte è stato monopolismo che ha poi interessato tutta la grande industria italiana che è stata tutta una grande industria di monopolisti pigri; gli industriali non avevano bisogno di investire perché controllavano i settori oppure erano il settore pubblico quando poi è nata l'IRI, che ha dovuto salvare tutto e poi l'ENI  e poi la Montedison che erano carrozzoni che però dominavano il settore, non c'è mai stato bisogno di fare concorrenza. 

Questo ha fatto dimenticare che noi stavamo nel Paese in cui più che altrove dovevamo rispettare la regola ambientale per fare la regola insediativa. Emilio Sereni quando scrisse Storia del paesaggio agrario italiano, che in realtà è una storia del territorio italiano, in cui si  sono formati generazioni di urbanisti, notava questo: noi stiamo non solo cambiando modello di sviluppo ma abbandonando le regole che ci dà il territorio, le regole dei nostri padri e dei nostri nonni che erano regole geniali perché erano modi di intervenire che tenevano conto delle caratteristiche dell'ambiente e del paesaggio.
E qui andiamo a discorsi più ampi che non sono solo italiani, che sono stati ripresi nell'ultimo periodo. In Italia questo è stato così evidente che dovevamo costruire cose che per qualche aspetto erano utili, l'Autostrada del Sole, nessuno nega l'utilità dell'Autostrada del Sole oppure la costruzione della rete ferroviaria, ma poi molte opere inutili per inseguire e organizzare lo spazio per l'auto, e poi tra l'altro è stato divertente quando, buonanima (è mancato anche lui) oltre 100 anni il rappresentante di quella che aveva cambiato nome dice: “Noi ce ne andiamo da Torino e dall'Italia, non dobbiamo niente alla stato italiano, siamo sempre stati autosufficienti!” ha detto Marchionne. Loro hanno avuto non solo una politica protezionistica nel settore ma pure in tutto il settore termomeccanico e nucleare, una politica monopolistica che ha condizionato la politica industriale italiana per 120 anni e ha condizionato la politica territoriale ambientale italiana per 120 anni e lui, buonanima, se n'è andato.
La cosa importante è cogliere questo fatto che coglieva Emilio Serene per questa convergenza tra l'interesse del trasporto su gomma e l'interesse di quello che ci ha raccontato Francesco Rosi Le mani sulla città. La rendita edilizia è diventata rendita urbana che è diventata rendita industriale, rendita commerciale, poi rendita finanziaria. Quello che racconta, Benjamin ce l'ha raccontato  negli anni trenta prefigurando molto, perché la città è illusoriamente bella nei passaggi parigini? E ha parlato di questo, il capitalismo estetico. Perché si traveste di bello quello su cui interessa fare profitto e allora prima era costruire l'insediamento abitativo interessante, poi è stata la fase dell'industria interessante, poi la fase del commercio interessante, poi la fase che deve essere grossa e fine a sè stessa inventandoci anche robe bizzarre. Stefano Boeri, nostro collega e il suo “bosco verticale” è una contraddizione in termini, lo dico sempre. Il premiatissimo bosco verticale, se andate  a Milano trovate questi grattacieli che non si sa perché ci debbano essere se non per quello che ha detto Rem Koolhaas, grande architetto europeo che lavora negli Stati uniti, che ha detto “Purtroppo noi siamo ridotti a fare i cantori del grande capitale che deve costruire queste grandi cose e noi o ci opponiamo e allora ci resta da disegnare solo le cose piccole, oppure dobbiamo fare i cantori del grande capitale”, è qua la grande rottura che c'è rispetto al territorio. Emilio Sereni si lamentava che noi abbiamo urbanizzato senza rispettare più le regole territoriali, ambientali e paesaggistiche poi siamo passati alla fase in cui abbiamo cominciato a costruire delle cose che non c'entravano niente con la domanda sociale.

Io sto in una università, l'urbanistica che ti insegna al primo giorno che lo studente entra, la prima cosa che gli diciamo è che qualsiasi oggetto di cui discutiamo deve avere una domanda sociale, se non ha una domanda sociale è sicuramente inutile per il territorio.
Guglielmo Zambrini che era un ingegnere dei trasporti, tra le altre cose ha fatto il passante di Milano, molti piani dei trasporti della mobilità nazionali regionali e locali, lui diceva: “Non si può fare mobilità senza la pianificazione”. Lui era uno di quelli che diceva negli anni 60: “Guardate che è adesso che bisogna fare le grandi infrastrutture urbane, tra qualche anno non ci sarà più lo spazio per farle, avranno un 'impatto insostenibile”; (e su cui ci siamo formati, anche lì molti urbanisti), iniziava i suoi corsi di pianificazione ai trasporti dicendo: “Un'infrastruttura è tale se risponde a una domanda sociale proveniente da quel territorio se no è una sottostruttura inutile ingombro per l'ambiente e il contesto sociale di riferimento”. Noi stiamo parlando oggi di grandi operazioni che finanziano sottostrutture, forse ieri, oggi c'è la nuova frontiera che è quella di dire che si fanno le cose e dimostrare che si stanno facendo. Vi ricordate la vignetta che è uscita sul Corriere della Sera alla vigilia della cancellazione ufficiale del progetto del ponte sullo stretto di Messina: c'erano due che stavano su una macchina sotto acqua “Te l'avevo detto che non l'avevano fatto”, perché il sistema mediatico raccontava che una cosa, che non aveva mai avuto il progetto esecutivo a fronte di quarant'anni di progettazione continua, per cui la battuta dei colleghi era “Basta lauree in ingegneria, architettura e urbanistica, facciamo la laurea in progettista del ponte sullo Stretto”; lavora sempre non finisce mai, lavoro sempre garantito, da qualche parte ti finanziano le cose ecc. Loro sono riusciti a spendere quanto un quartiere realizzato, 520 milioni senza mai fare il progetto vero con una prescrizione storica del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici che diceva “Per iniziare anche i precantieri vista la delicatezza dell'opera bisogna fare il progetto esecutivo”. Il progetto esecutivo mai fatto, ed è finita con una presa di coscienza del capoprogetto che era Remo Calzone, decano della tecnica delle costruzioni delle infrastrutture a Roma, che ha scritto a tutti i ministri e al presidente del Consiglio mentre c'era il passaggio tra Berlusconi e Monti, ha scritto “Il progetto esecutivo non è mai stato fatto perché non si poteva fare, perché è vero quello che dicono i tecnici e non noi che siamo urbanisti e pianificatori”. I nostri colleghi tecnici delle costruzioni però erano dalla nostra parte, “guardate che ci sono una trentina di parametri critici di cui 15 insormontabili”.
Però ci hanno raccontato fino a ieri che stavano cominciando i lavori, o come il buco vostro. Il buco vostro è una bella storia
perché doveva essere un buco esplorativo (c'è anche il dibattito: sono cominciati i lavori? Non sono cominciati? Se stanno facendo i contratti ora. con la clausola resistoria non dovrebbero essere cominciati) doveva essere un buco esplorativo e poi si chiudeva e poi in parte restava in servizio se mai l'opera si fosse fatta. Il nodo qual è: che questo buco esplorativo doveva costare mediamente a metro lineare circa  un centesimo di ordine di grandezza dell'opera, andate a vedere quanto è costato; certo non prevedevano di dover fare le postazioni per le televisioni e la stabilizzazione perché doveva arrivare la telecamera, cioè sta costando un ordine di grandezza simile a quello che costerebbe l'opera, perciò su questo equivoco giocano per dire che i lavori sono già iniziati. Salvini è andato dentro, no Salvini è andato dentro questo buco che sarà richiuso e non fa parte dell'opera strutturale, però sta costando più o meno quanto l'opera strutturale. Bel regalo della Legge Obiettivo! Non si fanno più i bilanci a consuntivo. Se io devo fare una finestra per lui e gli faccio un preventivo di 100 euro e poi gli presento un conto di 1000 lui mi chiama i danni e non solo non mi paga, mi denuncia per tentato di truffa invece no, la Legge Obiettivo ha creato questa convergenza, questo blocco assoluto tra lo Stato e per esso il concessionario e le imprese cioè il General Contractor, che capiscono immediatamente che il vero gioco è portare più soldi possibile prima nell'opera. Allora che facciamo? Semplifichiamo i progetti, non facciamo o facciamo all'acqua di rosa la Valutazione di Impatto Ambientale e succede che la Legge Obiettivo ci dissemina il Paese di 600 opere a vari livelli incompiute che tutta quella grande stampa di cui si diceva prima racconta: la colpa è della odiata burocrazia, dei comitati, degli ambientalisti, dei gruppi locali, ora dei 5 Stelle. Non è vero niente, erano tutti fermi prima. Erano fermi prima perché quando si è andati a fare delle cose sbagliate, ci sono stati danni che è intervenuta la magistratura, oppure ci siamo accorti che il progetto era fatto per non essere realizzato e quindi è difficile poi realizzarlo. 
In questo i berluscones erano dei campioni a fare cose che non si dovevano fare e a trasformare i problemi in affari perché a Firenze (guardate l'Espresso di questa settimana  in edicola da oggi c'è un articolo sulle incompiute di Firenze). A Firenze senza mai fare un cm di galleria si sono spesi quasi tutti i soldi dell'appalto. Perché? Perché c'è un sistema ipergarantista all'impresa così io ti do l'incarico, ti affido i lavori, poi non te li revoco e avrai diritto a indennizzi perché blocchi le maestranze e le attrezzature, imprevisti, riserve e coperture di tutte le spese che fai, così non si fa nulla, il sistema è fatto per non fare nulla e trasferire risorse. Trasferire da chi? Da tutti noi! Come foraggiatori del sistema economico attraverso il fisco a quei pochi che partecipano al gioco finanziario.
Chiudo questa parte con una cosa che è ancora un'iniziativa vostra, dei valsusini. Era fatta vicino al Politecnico, era uno dei tanti dibattiti, noi avevamo e abbiamo ancora un Osservatorio Nazionale sulle grandi opere, quello che resta della Legge Obiettivo. Non capisco cosa significa lo Sblocca cantieri, abbiamo chiuso la Legge Obiettivo perché criminogena poi facciamo lo Sblocca cantieri che con lo Sblocca Italia di Renzi ne riattiva una buona parte. Non capiscono bene quello che stanno facendo, nel senso che non è possibile che una forza politica che di fortuna, probabilmente scopiazzando qua e là tra ambientalisti, comitati ecc abbia fatto un programma che è quello che serviva per l'Italia cioè lo sviluppo sostenibile nei territori, poi non si accorge che deve, per essere coerente a questo programma, lo dico dal loro punto di vista (io non li ho votati), probabilmente la prossima volta fai il monocolore però per l'interesse di alcuni, però la prossima volta non ci potevano stare per loro stesse regole fai un'altra cosa e vai alla dissoluzione, queste sono considerazioni politiche che escono da questo discorso. 

La nuova fase delle grandi opere probabilmente esplicita è quella di trasferire risorse pubbliche di tutti dal sistema economico a interessi finanziari privati cioè di chi partecipa a quel gioco.
Vi dicevo, una lezione, che si ebbe in uno dei tanti appuntamenti organizzati dal Grande Cortile, ad un certo punto intervenne un vecchio dirigente della FIAT, in pensione ovviamente, che ci disse: “Mi complimento, voi ancora ragionate in termini di programmazione, scelte strategiche, mi dispiace per voi non è più così, adesso quello che interessa è che una roba sia quotata in borsa quindi deve dare profitti nel brevissimo periodo”. Ed è fatta da un Consiglio (almeno prima c'erano le grandi famiglie in Italia, ora non ci sono più) ci sono i Consigli di Amministrazione in cui chi decide ha un obiettivo di qualche mese, che volete che interessi il futuro della val di Susa o del futuro del bel Paese!  Allora c'è il problema: quando c'è questo scontro, questo attacco forsennato di Confidustria che chiama a militare, a militare! tutta la grande stampa; quando abbiamo un nuovo segretario di quello che dovrebbe essere il partito che una volta rappresentava i lavoratori la prima cosa che fa viene da voi, ma non per salutare voi, ma per dire a tutti io sono il nuovo maggiordomo, non quelli di Firenze con il loro giro, quelli sono finiti, siamo noi il nuovo maggiordomo. Con una politica così subalterna a queste cose bisogna trovare nuove forme, iniziative che ci sono.
Il discorso è nell'utilità che ci chiedeva Zambrini, di una infrastruttura o di una qualsiasi operazione che riguarda il territorio, ci sta la visione del territorio e allora bisogna guardare (ieri un po' è stato detto) all'inizio di questa fase di passaggio dall'economia alla finanza quando prevalevano una rappresentazione generale del mondo che erano perfettamente coerenti a questo passaggio. Trent'anni fa Marshall McLuhan tirò fuori una cosa che era incontestabile come ragionamento: il villaggio globale. E' vero che siamo un villaggio globale, possiamo giocare in borsa in ogni momento, possiamo andare dove vogliamo a fare viaggi per studio per lavoro ecc - se abbiamo le risorse per farlo, se no veniamo respinti, buttati fuori - siamo più interessati tramite i media a ciò che succede dall'altra parte del globo piuttosto a quello che succede sotto casa nostra, abbiamo notizie da tutte le parti in ogni momento: siamo un villaggio globale, però negli anni ottanta già si profilava la questione ambientale, c'era già stato da 15 anni la Conferenza di Stoccolma, in Italia c'era già il forte dibattito su nucleare, sulle grandi scelte energetiche, carbone, poi la grande cascata di opere, nel 64, poi le colombiadi, tutte queste grandi opere utilissime che servivano e questi sono gli investimenti! Interessante, mentre i giusti tagli devono essere sanità,  istruzione, università: quelli sono i giusti tagli! Si spende troppo, questi sono investimenti! Ribattezziamo, e anche questa cosa di fare i maggiordomi del debito pubblico sancito dagli accordi di Maastricht, sancito da un'Europa che era già subalterna a queste logiche qui, però il discorso è: questa rappresentazione del villaggio globale - già diversi studiosi dissero - è una rappresentazione perfettamente coerente sia al fatto che noi siamo collegati continuamente con tutto, però lì l'ambiente diventa niente, lì i luoghi diventano punti e allora il mondo ambientalista (pigliava consistenza in quel periodo), proprio guardando la Terra vista dalla luna, da quelli che avevano circumnavigato la luna dicevano che era un'arancia blu - vi fu anche una rivista che si chiamava Arancia Blu negli anni ottanta - ha detto noi non dobbiamo pensare ad un villaggio globale fatto solo di relazioni orizzontali, economiche, sociali, demografiche, spostamenti, di guerra anche, ma tra luogo e luogo, dobbiamo vedere cosa c'è e quindi venne fuori questa rappresentazione di Gaia che era una rappresenatazione ambientalista che era già un grosso passo avanti, ma era una rappresentazione in cui la Valsusa, la Valnerina, lo Stretto di Messina, la Val d'Arno sono punti, sono sempre e ancora punti.
Le “città globali” di Saskia Sassen sono relazioni tra grandi centri ma tutto il resto? Allora cominciò in California, un movimento che prima era scientifico che poi diventò politico, lanciò EDD Soia - geografia urbana all'università di California San Francisco, disse ci vuole una rappresentazione diversa certamente dal villaggio globale ma una diversa anche da Gaia perché noi abbiamo bisogno che i luoghi siano luoghi. Settis quando dice che l'Italia è una ricchezza, il bel Paese deve essere valorizzato, deve essere considerato in tutti i suoi luoghi, e poi Buenos Aires non può avere lo stesso sviluppo di Mosca che non può avere lo stesso sviluppo di Canberra che non può avere lo stesso sviluppo di New York. Il villaggio globale ci rendeva appetibile, interessante desiderabile il modello di vita di New York perché ci presentava le luci di New York, le mille luci di NY scriveva Mclnerney senza dirci tutti i problemi di malaria urbana e sociale che c'erano sotto, però tutto il mondo dalle comunità nepalesi all'interno della Calabria tutti dovevavno guardare lì.
Gli studiosi dello sviluppo dicono che lo sviluppo è continuamente una freccia che va ad ovest. Oggi è tornato dov'era 5000 anni fa: la fase più ricca del mondo tra Hong Kong, Singapore, Pechino e Shangay ma solo settanta anni fa, quando la Società delle Nazioni è diventata ONU, il triangolo più ricco del mondo era tra Boston New York e Washington, il corridoio del nord est, e infatti il discorso che fece Truman alla nascita dell'Onu, disse: “Tutto il mondo deve guardare a questa freccia dello sviluppo, la freccia del sud perché non tutti diventeranno ricchi e affermati come i newyorkesi o shingtoniani o bostoniani però ognuno migliorerà la sua situazione”; in nome di questo siamo andati a esportare modelli di sviluppo che poi erano progetti sempre più sbagliati che hanno distrutto le economie del terzo e del quarto mondo.
Bisogna riprendere la lezione, quando negli stessi anni descritti da Emilio Serene in Italia, quando nell'urbanizzare l'Italia ci siamo dimenticati della regola ambientale, la regola paesaggistica, la regola culturale, la regola insediativa. Qualche anno prima Saverio Muratori aveva detto: “Guardiamo a una triade” - che guardava per la costruzione di un manufatto -  lui disse: “Dobbiamo proiettarla sul territorio”; c'è stata una lunga fase in cui abbiamo territorializzato, cioè non è che il territorio è rimasto sempre naturale, ma non avevamo le condizioni per non adeguarci alla regola ambientale, per non adeguarci alla regola culturale del territorio, alla regola paesaggistica; questa è stata la lunga fase della territorializzazione in cui quando facevamo manufatti li facevamo assolutamente coerenti studiando la relazione con quella regola. Dalla rivoluzione industriale in poi siamo entrati in una fase di crescente deterritorializzazione nel senso che ci siamo illusi (con altre parole c'è anche in Laudato Sì') di avere una tecnologia tale da poter interpretare fino a stravolgere la regola ambiantale, la regola insediativa, la regola culturale, la regola paesaggistica del territorio e invece ad un certo punto ce ne siamo staccati fino alla speranza progettuale di Tomas Maldonado; forse veramente c'era la buona fede di dire io riesco a urbanizzare con le nuove tecnologie senza creare eccessivi problemi ambientali, paesaggistici... Ma poi questa consapevolezza è venuta meno e il segnale l'ha dato proprio il grande Paese che poi è diventato fino a ieri, forse fino ad oggi ancora, il Paese più potente economicamente e politicamente del mondo. E' stato il primo Paese a dire: attenzione, la nostra ricchezza,la ricchezza degli Stati uniti è stata sempre data dalle risorse dei grandi ambienti, dei grandi contesti, delle grandi praterie, noi oggi con l'urbanizzazione, lo sviluppo economico e la crescita economica stiamo mettendo in discussione questo e nel 1969, primi al mondo, si diedero la NPEA ,National Protection Environmental Act, la legge quadro di protezione dell'ambiente che stabiliva per la prima volta che per attuare progetti, opere, piani e programmi bisognava fare valutare l'impatto di questi programmi e qualora l'impatto non fosse stato positivo o quantomeno nullo il programma non si doveva realizzare. Questo poi si è sparso un po' da tutte le parti con accezioni diverse, arrivata buon ultima nel '86 anche l'Italia; però non tanto questo ci doveva far riflettere, ci doveva far riflettere il fatto che ormai era sancito che avevamo rotto la regola abbondantemente e quindi tutta questa fase di negazione, degrado, che prima Muratore e poi Alberto Magnani, professore emerito da noi, sempre accanto alle sue istanze, lui che veniva da esperienze di potere operaio, era sempre stato anche un movimentista, accanto alle istanze di ricerca accademica ha fatto anche istanze di azione sociale. Io sono stato cinque anni in America a studiare da vicino là dove erano già avanti con questo discorso della pianificazione ambientale e valutazione di impatto ambientale e poi sono tornato e sono diventato professore a Firenze proprio perché venivo da fuori e nasceva allora questo programma che si chiamava già programma territorialista. Allora lanciammo, tra l'altro la bellissima sera, del gemellaggio no ponte no tav, Magnani doveva fare questo discorso perchè non è solo una questione di inaugurazione, è una questione anche pragmatica che in Valsusa decidono i valsusini, ma fu una sera talmente entusiasmante, passammo dal consiglio comunale di Avigliana al teatro e poi al palasport, arrivò Gianni Vattimo per dire una cosa, non se ne accorse nessuno, nelle ore e nell'entusiasmo, nei cori vennero messe un po' da parte, allora Magnani voleva fare questo discorso: “Non è solo questione di democrazia elementare è una questione che serve a tutti, senza abitanti non si può fare nessuna trasformazione del territorio”, che è un discorso pragmatico che vuol dire non semplicemente un'istanza politica ma una istanza di recupero di riterritorializzazione, cioè di recupero della sapienza territoriale con cui lavoravano i nostri nonni e i nostri bisnonni che sfruttavano il territorio - ma senza i pesticidi e la chimica che muoiono i cani e gatti - e se un'operazione non andava non la facevano.
I Biscari, che è un insulto a Firenze, erano una famiglia che nella Firenze dei Medici che si stava urbanizzando, con tutte le regole di interazione col contado che si trasformava, con il fiume che c'era (che racconta magnificamente ogni volta un nostro amico e collega che si chiama Roberto Budini Gattai), il biscari è rimasto un insulto perché i Medici e gli altri dicevano: guarda che noi urbanizziamo. Urbanizziamo perché infatti fanno delle cose che sono rimaste patrimonio dell'umanità per sempre, quei palazzi. Ma loro no: noi siamo produttori agricoli e continuiamo a tenere il campo, allora: Biscaro! È diventato addirittura un insulto.
Magnani voleva dire quella sera che è stato travolto dal gemellaggio no ponte no tav, queste cose qui; ridare il territorio agli abitanti vuol dire semplicemente ripristinare, riterritorializzare, capire che non abbiamo futuro se non recuperiamo - con tutti gli aggiustamenti che vanno fatti - le regole ambientali, le regole culturali, le regole paesaggistiche, le regole sociali del territorio e non lo possiamo fare senza gli abitanti.
Oltre a continuare a trovare le forme più interessanti io penso sia una cosa anche politicamente molto importante e questo fatto della Laudato sì' e questo fatto che qualche mese dopo i ragazzi si sono accorti di questa cosa qui. Però sono divertenti tutti i maggiordomi di questo sistema che dicono si l'ambiente, la sostenibilità però...finché non ci dà fastidio, lasciateci lavorare come dicono a Roma; invece no, questo deve essere diventato un dato strutturale.
Questo Paese ha bisogno di grandi opere, ieri è stato l'anniversario dell'Aquila; la prima grande opera che dobbiamo fare è la messa in sicurezza del territorio dalla sismica all'idrogeologia, dagli incendi ecc, ma non solo il territorio non ancora urbanizzato ma anche il territorio urbanizzato. Ero a Marsiglia per una conferenza prima di Natale e sono crollati due palazzi, tra l'altro c'era una studentessa italiana pure coinvolta e noi abbiamo detto ci rammarichiamo. In Italia siamo in questa situazione, che abbiamo un patrimonio costruito, che è stato costruito soprattutto negli anni 50, 60 e 70 ed è entrato nella sua fase matura, una gran parte di questo patrimonio non è nemmeno più gestito perché abbandonato. Noi abbiamo fatto una grande ricerca negli anni scorsi che si chiamava Riutilizzare l'Italia. Noi abbiamo un appartamento su quattro, abbiamo circa 33 milioni di appartamenti, sono dati ISTAT, un appartamento su quattro è vuoto o è inutilizzato infatti noi diciamo non solo dovremmo accogliere tutti quelli che arrivano, dovremmo accogliere anche quelli che arriveranno da altrove per i prossimi 50 anni perché abbiamo costruito un'altra Italia che è lì abbandonata a degradarsi, case e capannoni. Questa estate drammaticamente ci è stato ricordato che c'è un altro componente dell'urbanizzazione che abbiamo degradato, che abbiamo lasciato andare, è venuto giù il ponte Morandi.
Noi abbiamo come rapporto metri lineari / abitanti il patrimonio di linee di strade, autostrade e ferrovie più alto del mondo delle nazioni avanzate, ma ovviamente se hai una risorsa così importante che viene utilizzata tutti i giorni che devi fare? Devi fare la manutenzione, devi investire le giuste risorse per mantenerle. Allora la grande opera che serve è una manutenzione del territorio contro i rischi sismico, idrogeologico, incendi, inquinamento ecc e una manutenzione del costruito, il patrimonio abitativo e infrastrutturale. Ma tutto questo non si può fare se tu non parti da una analisi delle condizioni, quindi da piani, programmazione. Pianificazione è la parola decisiva ed è stata messa da parte perché ad un certo punto noi siamo andati a liste di opere che dovevano ricostruire l'Italia dopo il secondo dopoguerra. Molte delle opere di cui stiamo discutendo le aveva recuperate Berlusconi (salutato da tutti) recuperando i programmi per il mezzogiorno degli anni 50 e 60 o addirittura dei programmi della ricostruzione, perché Lunardi doveva fare in fretta (fu anche professore da noi), tra le altre cose fece pure dare un incarico a Firenze e si arrabbiò perché noi ci opponevamo a che Firenze facesse il consulente di questo programma. “Guarda noi già lo stiamo studiando il tuo programma, lo stiamo studiando con un altro taglio e non possiamo essere consulenti tuoi”. Ha avuto l'incarico di due anni e poi se ne è andato, però ci ha raccontato questa cosa: “Dovevo fare in fretta” e quindi ha preso pezzi di Cassa per il Mezzogiorno, per il sud infrastrutture, il ponte sullo stretto, pezzi addirittura dell'Italia della ricostruzione per improvvisare questo programma che intanto veniva legittimato mediaticamente.
Però noi dobbiamo chiudere con queste. Sicuramente lo scontro che c'è in Val di Susa è uno scontro micidiale perchè è questo mondo che ha beneficiato fino a adesso di tutta questa situazione a scapito di tutti, che teme che questo beneficio finisce.
I 50000 ieri erano 5000, però si sono giustificati dicendo tanto ormai sono fatti i contratti. Ci sono state opere che hanno avuto il permesso di costruzione e si sono fermate, non se ne è accorto nessuno e si sono fermate senza mai pagare una penale. Nella Legge Obiettivo non si è mai pagata penale. La penale è l'ultima bandiera di quelli che non hanno altra cosa cui difendere quando un'opera diventa indifendibile.
Però dobbiamo chiudere con questo mondo che si rappresenta perché vuole mantenere i privilegi che ha avuto. Buonanima di Ivan Cicconi, grande studioso delle distorsioni delle grandi opere dell'alta velocità, ci faceva notare che Impregilo, oggi Salini-Impregilo, la più grande impresa di costruzioni italiana, la settima del mondo, vent'anni fa aveva 200.000 unità di maestranze, oggi ne ha 6.000, tutti gli altri sono diventati dirigenti, facilitatori di progetti cioè passacarte che, soprattutto, devono svolgere funzione di lobbyng, allora con questo modo che si sta rappresentando drammaticamente - tra l'altro riportando indietro il discorso sulle grandi opere - bisogna non chiudere con questo mondo, ma chiudere con le loro istanze e aprire questa grande fase di riterritorializzazione del territorio in cui gli abitanti sono gli elementi centrali.
Vi ringrazio




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