venerdì 24 maggio 2019

Ama la terra come te stesso - Assisi - trascrizione dell'intervento di mons. Vittorio Peri (non rivista dall'autore)



     Ringrazio anzitutto i promotori di questo incontro  e, in particolare, il carissimo amico Paolo Anselmo che mi ha quasi costretto ad accettare l’invito offrendomi così la possibilità di poter esporre qualche breve considerazione in merito a questo vasto tema di natura ecologica (da oikos = casa; e logos =discorso)
     In rapporto ad esso mi è venuto alla memoria un esto celebre versetto, breve e lapidario, del libro biblico della Genesi: “Dio pose l’uomo nel giardino di Eden perché lo coltivasse e lo custodisse” (2,15). I due verbi - coltivare e custodire – definiscono le coordinate delle responsabilità che ciascuno di noi ha nei confronti del creato. Di seguito, alcuni brevi rilievi sull’uno e sull’altro. 
1.     COLTIVARE

     Il compito di coltivare (arare, bonificare, seminare, ecc) va letto alla luce di altri quattro verbi che troviamo nel primo capitolo del medesimo libro biblico ove leggiamo che Dio benedì l’uomo e la donna dicendo: “Siate fecondi / moltiplicatevi / riempite la terra / soggiogatela” (1,28).
     I quattro imperativi trovano concretezza nel lavoro che, come affermava Giovanni Paolo II, è “una fondamentale dimensione dell’esistenza umana sulla terra“ (Laborem exerces,  n. 4) e che suppone uno specifico dominio dell’uomo non solo sul pianeta che abitiamo ma sull’intero universo, entrato ormai nel raggio d’azione della ricerca umana.   
     Il verbo “coltivare” merita, soprattutto qui ad Assisi, ui in Assisi una particolare sottolineatura. Nella celebre  Vita seconda di s. Francesco scritta da Tommaso da Celano tra il 1246/47, è riportato infatti – e non una sola volta – il curioso consiglio che Francesco dava ai suoi fratelli (frati) addetti ai lavori agricoli: coltivate pure gli orti dei conventi, ma ricordatevi di lasciare almeno uno spazio incolto perché possano nascervi spontaneamente fiori, erbe  e piante varie.
     Francesco chiedeva loro, in sostanza, di rinunciare a coltivale l’intera superficie dei piccoli terreni da cui traevano magri prodotti commestibili, per lasciare spazio a “cose inutili”, come potrebbero sembrare fiori, piante selvatiche ecc. Insomma, a rischio di sembrare folle in tempi sempre minacciati dalla fame, egli si preoccupava della salvaguardia e della bellezza del creato, anticipando così di molti secoli la celeberrima espressione del grande Dostoevsky: “L’umanità può vivere senza scienza e senza pane, ma senza la bellezza no, perché al mondo non ci sarebbe più niente da fare”.
2.     CUSTODIRE
         Questo secondo verbo del nostro versetto biblico indica cura, protezione, preservazione del creato: compiti che ciascuno di noi è chiamato a realizzare superando la tentazione di interessi particolari. “Senza la terra noi siamo niente”, scrive il monaco Enzo Bianchi per affermare che tutte le realtà che la terra produce e che di essa vivono non sono semplici “cose” a noi estranee, ma parti integranti della nostra vita, e non solo materiale.
         Sono anzi il nostro “prossimo inanimato”: da custodire perché anch’esso entrerà nel “giorno senza tramonto”; come lascia intuire, leggendolo in filigrana, un sorprendente brano della lettera di Paolo ai Romani: “La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio (…) e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella gloria dei figli di Dio”. (8,19-21)
         L’uomo è tanto legato al cosmo da non potersi pensare senza di esso, e il cosmo, nella risurrezione, troverà il suo più alto significato e compimento. E del resto: privo di piante, fiori, animali spiagge, montagne ecc. che mondo risorto sarebbe? Da eccelso teologo qual era, Tommaso d’Aquino immaginava una certa “spiritualizzazione” della materia, di tutta la materia uscita dalla mani del Creatore”. E così, contrariamente a quanto affermava il Mefistofile di Goethe - “tutto ciò che nasce è destinato a scomparire; perciò sarebbe meglio se non nascesse nulla” - la fede cristiana ci insegna che tutto ciò che esiste è degno di essere, e per sempre, perché plasmato da Dio. Egli ne è il  Creatore e anche il Redentore.
         2/1- In senso negativo, però, il verbo “custodire” comporta l’astensione da ogni forma di violenza. “Non uccidete il mare, / la libellula, il vento. / Non soffocate il canto del pino. / Anche di questo è fatto / l’uomo. E chi per profitto vile / fulmina un pesce, un fiume, / non fatelo cavaliere del lavoro. / L’amore finisce dove finisce l’erba / e l’acqua muore. … / Come potrebbe tornare a essere bella / scomparso l’uomo, la terra?”, scriveva il poeta livornese Giorgio Caproni.
         Sono invece sotto gli occhi di tutti gli immani scempi ambientali avallati spesso dall’inerzia o dalla connivenza di chi dovrebbe vigilare. Il rigoglioso giardino donatoci da Dio subisce giorno dopo giorno la violenza di chi sta trasformandolo  in una immensa distesa di macerie e di sporcizia. Calpestiamo, imbrattiamo, devastiamo come vandali e spesso in modo irreversibile se è vero, come qualcuno ha rilevato,  che se Cristoforo Colombo avesse gettato una bottiglia di plastica in mare, quella bottiglia continuerebbe ancora a galleggiare e inquinare.
         Lo scorso 14 marzo milioni di studenti di tutto il mondo hanno ricordato, ai politici soprattutto, la necessità di agire con rapidità e decisione per contrastare i cambiamenti climatici prodotti dall’inquinamento. Secondo  l’Organizzazione mondiale della sanità nove persone su dieci respirano oggi aria inquinata che, a sua volta, provoca sette milioni di decessi ogni anno. Sappiamo inoltre che le tonnellate di plastica prodotte annualmente a milioni, hanno formato negli oceani “sole di plastica” di oltre 16 milioni di chilometri quadrati (una superficie inferiore solo al territorio della Russia).E tutti abbiamo negli occhi le drammatiche immagini televisive di enormi cetacei spiaggiati per aver ingerito chili e chili  di materiale plastico.
         Una volta era l’uomo che doveva aver paura dell’ambiente; oggi è l’ambiente che deve temere l’invadenza e la prepotenza dell’uomo. Perfino questa bella Umbriauesto conveg, regione ricca d’arte e di spiritualità, è divenuta pericolosa come ha scritto una giornalista di Famiglia cristiana: “Se io fossi un cane o un gatto mi terrei alla larga dall’Umbria; pare infatti essere  la regione italiana a più alta percentuale  di avvelenatori di cani e gatti.”
         Ebbene, nonostante questa preoccupante realtà, la maggior parte della gente si uasi) comporta come i passeggeri del celebre Titanic nella tragica notte dell’aprile 1912. Nel culmine di festeggiamenti per il viaggio inaugurale, il lussuoso transatlantico, squarciato per la collisione con un imprevisto iceberg, andava a fondo. Possiamo pertanto qualificare il Titanic metafora del nostro pianeta, considerato ormai agonizzante da non pochi scienziati.
         Merita allora ricordare il folgorante aforisma di uno sciamano pellerossa:  “Quando l’ultimo albero sarà  stato abbattuto; / l’ultimo fiume avvelenato; / l’ultimo pesce pescato / ci accorgeremo che il denaro non si può mangiare. / E che morremo di fame
         2/2 – Positivamente, poi, il verbo custodire comporta l’attivazione di relazioni amichevole con l’ambiente. “Io sono me stesso più il mio ambiente. Se non preservo quest’ultimo, non preservo nemmeno me stesso”, scriveva il filosofo spagnolo José Ortega y Gasset. “E’ pertanto necessario – afferma papa Francesco -  assumere uno stile di vita profetico e contemplativo, capace di gioire senza essere ossessionati dal consumo”(Laudato si’, 222)

         Tralasciando ulteriori considerazioni, vorrei concluderei con un gradevole apologo che, almeno per me, è di origine ignota, e con una poetica citazione.
         “ Da giovane, quand’ero un rivoluzionario pregavo dicendo: Signore, dammi la forza di cambiare il mondo. Raggiunta la mezza età, e vedendo che il mondo non era cambiato, dicevo: Signore, dammi a forza di cambiare il mio villaggio. Ora che sono anziano dico semplicemente: Signore, fammi almeno la grazia di cambiare me stesso”.
         Questa è la preghiera che potremmo formulare, alla luce di quanto abbiamo detto e della densa riflessione del poeta inglese John Donne: “Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso. Ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto. La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce, perché io sono parte dell’umanità. E dunque non chiedere mai per chi suona la campana. Suona anche per te”.

Grazie per il paziente ascolto.
                                     
                                                                  peri.vittorio@gmail.com






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