Il percorso di
aggressione ambientale al pianeta è elemento di discordia e conflitto che
allontana la convivenza civile e pacifica là dove pace non va intesa solo come
pura assenza di guerra.
Vorrei tentare di porre
in evidenza le interconnessioni tra la questione ambientale e almeno 4 macroambiti: la questione sociale, i motivi
di conflitto, il debito ecologico, la migrazione
Grammenos Mastrojeni,
diplomatico italiano anticipatore negli anni novanta dell’incompreso legame fra tutela dell’ambiente, coesione umana,
pace e sicurezza, con un azzeccato gioco di parole sintetizza questo
legame:
Dall'effetto
serra all'effetto guerra: Perché i cambiamenti climatici acuiscono il divario fra ricchi e poveri e
anche perché sono più intensi proprio lì dove ecosistemi fragili si
sovrappongono società fragili.
La quasi completa
sovrapponibilità tra questione sociale e questione ambientale costituisce una
chiave di lettura della nostra società e del modello sulla base del quale si è
sviluppata e intende continuare a svilupparsi; un modello di società disegnato
sulle esigenze dei più forti, di coloro che stanno meglio ricacciando e lasciando
indietro i più deboli, ipotizzando di poter portare avanti all’infinito il
debito ecologico che tutti abbiamo nei confronti della terra e di quello che
come paesi ricchi abbiamo nei confronti dei paesi poveri.
Mentre nel nostro
territorio stesso si consolidano le differenze, e perfino nella stesa città si
disegnano distanze siderali in merito alla qualità e alla durata della vita tra
abitanti delle zone “bene” e le periferie:lo studio di Giuseppe Costa,
epidemiologo dell’università di Torino, attesta un divario di quasi 4 anni di
aspettativa di vita tra gli abitanti di un’area collinare e quelli di un’area
periferica. Due zone collegate da una linea tranviaria lungo la quale ad ogni
fermata, dal centro verso la periferia, “scendono” per così dire 5 mesi di
aspettativa di vita,
Il che va a confermare
appunto la quasi completa sovrapponibilità tra questione sociale e questione
ambientale, tema che purtroppo è a lungo sfuggito alle maglie di certo
ambientalismo italiano, specie quello incardinato nei meccanismi della
politica, che è rifuggito da battaglie sociali fondamentali autolimitandosi in
una più rassicurante dimensione “esclusivamente” ambientale. Ma nella questione
ambientale non vi è nulla di esclusivo, tutto è intrecciato e interdipendente.
Come dimostra la
resistenza del popolo no tav: si tratta di una resistenza con obiettivi
universali sebbene inserita e radicata in
uno specifico territorio.
Apro qui una
riflessione pescando a piene mani in quanto ci ha detto Tomaso Montanari
nell’incontro organizzato a Torino, occasione in cui ha sottolineato come la
Valsusa sia esemplare in tema di comunità in relazione al territorio; relazione
che è esplicitata nella Costituzione. Ci ha ricordato come Florestano De
Fausto, unico architetto deputato alla Costituente, avesse sottolineato che non
padroni siamo, ma depositari e consegnatari responsabili del territorio. Il che
costituisce un’idea diametralmente opposta ai concetti fondamentali sottesi
alle Grandi Opere. “Padroni in casa propria”
è stato lo slogan sia della legge
obiettivo sia dello ”sblocca Italia” di Renzi.
Essere padroni
significa poter disporre del territorio ed è idea opposta a quella di custodia
del territorio o, come dice il Papa dal punto di vista cristiano, “del Creato”.
Altra sovrapponibilità
è quella tra questione ambientale e quadro dei conflitti che si può
grossolanamente articolare in 3 filoni da ricondurre poi alla cornice comune
delle spese militari
Ne cito due, che stanno contendendo al petrolio il
primato nelle motivazioni scatenanti per i conflitti
1)Terra: land grabbing 2)acqua
LAND GRABBING
Marco Ciampo in
“Pianeta Guerra”, un testo del 2002 ma purtroppo ancora attuale,
ci fa notare come non
tutta la terra sia abitabile, perché la terra utile alla vita è poca. Bastava
più o meno bene, prima dell’esplosione demografica avvenuta dalla metà del XX
secolo. Ma il colossale mutamento del clima ha prodotto scarsità d’acqua e
l’avanzamento delle zone desertiche
Se si osserva la carta
del mondo cercando le aree di crisi, la fame di terra corrisponde alla fame
vera e propria e le zone di queste crisi coincidono anche con quelle della
violenza, dello sfruttamento e sovente delle dittature (ibidem)
88
milioni di ettari di terra fertile nel mondo in 18 anni sono stati accaparrati
da Stati, gruppi e aziende multinazionali, società finanziarie e immobiliari
internazionali. Questo fenomeno si chiama: Land Grabbing.
Il dato è tratto dal
primo rapporto annuale “I padroni della Terra”, redatto da FOCSIV,
in collaborazione con Coldiretti, che affronta la questione su chi siano, in
generale, i soggetti che stanno acquisendo sempre più terre coltivabili
sul nostro Pianeta e chi ne abbia il controllo, diventando di fatto i veri
padroni della Terra. Presupposto dell’intero Rapporto è la consapevolezza che
la terra, soprattutto quella fertile e l’acqua salubre, sono risorse limitate
che si stanno esaurendo, in un mercato globale che tutto fagocita. La prima
edizione è dedicata al fenomeno del land grabbing e
alle sue ripercussioni in termini di conflitti, espulsioni, migrazioni,
depauperamento dell’ambiente e la scomparsa delle biodiversità.
Non
abbiamo qui il tempo di analizzare a fondo il rapporto ma vi vi invito a
consultarlo sul sito di Focsiv
ACQUA
Nel prossimo decennio, secondo numerosi rapporti delle più
autorevoli Organizzazioni Internazionali e dei centri di ricerca, la causa più
probabile dello scoppio di un conflitto tra Stati sarà il controllo dell’acqua
Come attestava già nel 2014 la rivista italiana di
intelligence Gnosis, che fa capo all’agenzia nazionale per la sicurezza, in un
articolo sulla geopolitica dell’acqua e gli equilibri internazionali, i
cambiamenti ambientali nel corso dei prossimi decenni potrebbero modificare
significativamente la geografia umana e, di conseguenza, la geopolitica. Le
ondate migratorie avrebbero in questo caso riflessi sulla sicurezza, aumentando
indirettamente i rischi di conflitti violenti sotto forma di guerra civile, violenza
inter-gruppo e proteste violente, esacerbando i driver più noti di questi
conflitti, come la povertà e la crisi economica
E’ già ben presente
l’allarme per la minaccia di una migrazione planetaria massiccia dovuta alla
penuria d’acqua, che potrebbe arrivare ad interessare un miliardo di persone
nel prossimo ventennio.
MIGRANTI
E veniamo dunque a
questo ulteriore tema così interconnesso con la questione ambientale e
strumentalmente trattato specie dall’attuale governo come questione di
sicurezza
La II° edizione
del dossier pubblicato dall’Associazione A Sud e dal Centro Documentazione
Conflitti Ambientali pone bene in evidenza la dimensione paradossale di questa
spesso sottaciuta interconnessione. E da questo dossier traggo le
considerazioni che seguono
Crisi ambientali e migrazioni sono
entrambe, in questa epoca storica, tematiche di grande rilevanza.
Ma, a parte aver innalzato all’onore delle prime pagine la questione dei cambiamenti climatici a fronte della recente manifestazione mondiale, abitualmente alle crisi ambientali si dedicano pagine di cronaca in occasione di eventi calamitosi in seguito ai quali tutti si affrettano a denunciare la fragilità del territorio, salvo poi tornare, per così dire, all’ordinaria amministrazione
Ma, a parte aver innalzato all’onore delle prime pagine la questione dei cambiamenti climatici a fronte della recente manifestazione mondiale, abitualmente alle crisi ambientali si dedicano pagine di cronaca in occasione di eventi calamitosi in seguito ai quali tutti si affrettano a denunciare la fragilità del territorio, salvo poi tornare, per così dire, all’ordinaria amministrazione
Dallʼaltro lato,
ai migranti è invece riservato un posto di rilievo nelle preoccupazioni della
classe politica e nelle narrazioni giornalistiche, con un approccio miope e
criminalizzante e vincolato al. “rischio percepito” dalla popolazione, creato
ad arte dai partiti nazionalisti che ormai ovunque fanno incetta di voti
giocando sulla paura. Sforziamoci di ragionare sulle cause delle ondate
migratorie della nostra epoca. Guerre, certo. Povertà economica. Ma alla base
della necessità di abbandonare le proprie terre ci sono sempre più spesso il
degrado dellʼambiente e la distruzione delle economie locali dovuti
allʼestrazione delle risorse, alla contaminazione, agli effetti devastanti del
riscaldamento globale. E spesso sono proprio i Paesi di arrivo che negano con
le proprie politiche di accoglienza i diritti dei migranti ad essere sede di
grandi imprese coinvolte in progetti estrattivi, produttivi o infrastrutturali
che contribuiscono alla distruzione dei territori da cui la popolazione è
forzata a fuggire: questa osservazione ci riporta al concetto di quel debito
ecologico tanto spesso ignorato e mai “conteggiato” da chi pone avanti a tutto
la questione della spesa. Una spesa per altro che, al contrario di quella per
gli armamenti, decresce.
Si fa un gran parlare di
sicurezza, un termine ricorrente con una assillante ripetitività quotidiana che
fabbrica consenso e apre le porte a provvedimenti incivili e preoccupanti come
il decreto sicurezza e la legge sulla legittime difesa, che a sua volta fa da
prerequisito a una maggior diffusione delle armi. E, come ebbe a scrivere già
molti anni fa Furio Colombo come corrispondente dagli Stati Uniti, nazione
maestra in tema di facile accessibilità e di diffusione di armi tra i privati
cittadini : Chi ha un’arma prima o poi la usa.
Si disegna dunque un quadro diametralmente opposto
al rafforzamento della sicurezza ma se mai ispirato a un senso diffuso di paura
e insicurezza.
DEBITO
ECOLOGICO
Lo
squilibrio nord/sud ha ovviamente diritto di cittadinanza anche tra i motivi di
conflitto, ma merita qui qualche riflessione, sebbene rapida e necessariamente
superficiale, sotto la lente specifica del debito ecologico. In buona sostanza
la domanda di fondo è Chi deve a chi?
A
quanto ammonta il debito contratto dai paesi industrializzati verso gli altri
paesi a causa dello sfruttamento passato e presente delle risorse naturali, a
causa dei danni ambientali provocati, a causa del libero utilizzo dello spazio
globale per depositare rifiuti, spesso illegalmente e lungi da ogni correttezza
nello smaltimento, e ancora a causa delle deforestazioni, delle estrazioni, dell’estinzione
di specie viventi, ecc?
Come
non vedere l’ennesima stretta interconnessione tra questione ambientale e
migrazione come abbiamo avuto modo di sottolineare poc’anzi
SPESE
MILITARI
E in
questo quadro di esigenze legate alla
tutela ambientale, alla riduzione del divario nella qualità della vita,
all’incremento dell’accessibilità ai diritti umani, come ad esempio
l’accessibilità all’acqua, la risposta dei governi è quella che attesta l’Istituto Internazionale di
Stoccolma per le Ricerche sulla Pace (Sipri): e cioè la crescita della spesa mondiale per gli
armamenti.
E l’Italia non è estranea a questa tendenza
25 miliardi di
euro nel 2018 (1,4% del PIL), un aumento del 4% rispetto al 2017 che rafforza la tendenza di
crescita avviata dal governo Renzi (+8,6 % rispetto
al 2015) e che
riprende la dinamica incrementale delle ultime tre legislature (+25,8%
dal 2006)
precedente la crisi del 2008.
La fonte è
Milex, osservatorio sulle spese militari italiane.
E preoccupano
anche le spese per così dire nascoste, visto che il Ministero per lo sviluppo
Economico concorre alla spesa militare avendo imputato al proprio bilancio 3,5 miliardi per contribuire all’acquisto di
nuovi armamenti; voce in crescita nelle ultime tre legislature.
CONCLUSIONI
Chiudo
tornando alla Valsusa per tentare di ricongiungere considerazioni relative a
una dimensione planetaria alla realtà quotidiana di resistenza con l’intento di
dimostrare come i meccanismi di interconnessione che ho cercato di esporre
possano essere declinati anche su scale spaziali diverse.
I temi che ho toccato,
certamente a volo d’uccello, riguardano questioni di giustizia e di democrazia
di cui spesso, in diverse realtà del pianeta, si fanno carico i movimenti, dal
basso, diffondendo informazione, consapevolezza e partecipazione. Che è
esattamente ciò che succede in Valsusa e nei suoi presidi. Ricordo che il
Controsservatorio che qui rappresento è parte integrante di questa pratica dal
basso che si è manifestata anche nella realizzazione della sessione del Tribunale
Permanente dei Popoli
Il movimento no tav ha
in sé questa specificità: si tratta non solo di una lotta contro un treno, per
altro inutile e devastante, ma l’azione per un modello di società in cui pace e
ambiente vivano e respirino
E’ un movimento che si
oppone a che una valle venga trasformata in un corridoio di passaggio delle
merci, perché nei corridoi, che per altro la nuova architettura ha da tempo
superato, non si vive, non ci si incontra, non si socializza: al massimo ci si
appende il cappotto o si lascia l’ombrello grondante.
E’ doveroso chiedersi
se nelle esternalità vengano mai conteggiati i danni alle relazioni, i danni
sociali derivati dalla militarizzazione della valle
La pace vive nel mondo
dei diritti e dell’accoglienza: ci si occupa con pervicacia e tramite
un’informazione di parte e fraudolenta della libera circolazione delle merci,
ma con altrettanta pervicacia e fraudolenza si innalzano muri reali o ideali
che siano per fermare gli uomini
Ho cercato in
conclusione di evidenziare come le interconnessioni che ho tratteggiato stiano
tutte sotto il grande concetto in base al quale declinare la parola pace intesa
non, o almeno non solo, come pura assenza di guerra bensì anche come
espressione di una dimensione che possiamo definire “ecologica”: un’ecologia
delle relazioni, dell’ambiente, dell’economia, dei diritti e della democrazia
in nome di una spiritualità che va al di là delle scelte di fede.
Chiudo con la citazione
della facola del colibrì che viene spesso citata dal premio nobel Wangari Maathai.
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