venerdì 24 maggio 2019

Ama la terra come te stesso - Assisi - trascrizione dell'intervento di don Ermis Segatti (non rivista dall'autore)



 Diciamo la mala suerte di dover parlare di un argomento che se ripeto il titolo che mi è stato affidato potrebbe essere quanto di più anafilattico si possa mai pensare. Dunque io dovrei spiegare di un autore che credo non tutti conoscono, che poi se possibile chiedo agli organizzatori perché mi hanno rifilato questa cosa, vi anticipo che la svolgo volentieri però è una provocazione il titolo, la persona e che cosa lui pensa anche rispetto alle cose che ho visto focalizzate dalle parole introduttive.
Il personaggio Raimon Panikkar, personaggio che certamente in alcuni ambiti dei saperi è ultranoto per una specifica corrente di pensiero a cui appartiene e in cui lui è persona in un certo senso unica all'interno di quella corrente che poi cercherò di spiegarvi e poi però questa persona ha inventato molte parole, forse in parte in uso in ambito molto ristretto, in circolo molto ristretto di pensatori che però dette come oggetto di una conferenza sarebbero proprio una condanna a muerte: ecosofia e cosmoteandrica. Aprirei subito un'inchiesta per sapere quanti dei presenti riuscirebbero a stendere una mezza paginetta su queste due parole, ebbene nonostante la stranezza direi quasi un po' la provocatorietà delle parole, questa persona io ritengo che ha alcune cose da dire che possono essere utili a ciò che sembrerebbero essere così lontano dal suo modo di esprimersi.
Cominciamo ad entrare attraverso la vita, non vi faccio la biografia, vi dico però un punto fondamentale della sua fisionomia che fa parte di quel contributo, quel filo rosso di contributo alla linea che state portando avanti, lui è una persona che ha avuto la condizione da lui intensamente vissuta di avere una madre cattolica fervente e un padre indù fervente, e questi matrimoni misti sono abbastanza diffusi nel mondo anche per altre combinazioni etniche però dipende sempre da che cosa rappresenta la persona che li ha e li vive; lui ha fatto di questo una sorta di vocazione nella sua vita a cui dare una soluzione che non fosse omissiva nè dell'uno nè dell'altro e difatti un punto di partenza fondamentale della sua ricerca spirituale va sotto l'insegna di quella che noi chiameremmo attraverso un linguaggio, molto diffuso anche in occidente, le strategie del dialogo interreligioso.
E su questo dialogo interreligioso ha cominciato subito con un'opera che ha avuto una forza d'urto dirompente all'interno del mondo sia indù sia cristiano, non semplicemente solo cattolico e il titolo del libro sembra un po' esoterico ma molto interessante. E' un titolo che dice che nei testi sacri dell'Induismo esiste una allusione a Gesù Cristo, intendendo con questo che intanto compiva un'opera che ancora oggi costituisce un po' di difficoltà; quando noi diciamo le religioni del libro in genere pensiamo a tre religioni, pensiamo evidentemente all'ebraismo, al cristianesimo e all'islam, invece c'è tutta una corrente di pensiero anche all'interno dell'Induismo, e anche fuori, le quali stanno riscattando il valore di religione del libro anche ad altre grandi tradizioni. Ora nell'induismo il libro è un complesso di libri che si chiamano i Veda. Quest'uomo che aveva una conoscenza profonda della lingua originale, in questo caso il sanscrito, trovò all'interno di un passaggio importante di alcuni testi dei Veda che c'era una allusione che poteva essere accostata a ciò che dice il Vangelo di Giovanni nel famoso prologo: “In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e Dio era il Verbo, questo era in principio presso Dio”, egli trovò che il modo con cui all'interno di alcuni libri veniva trattata la figura di I
śvara era la figura proprio che andava incontro a far capire agli indù una cosa che gli indù di primo acchito assolutamente non riuscivano ad accettare e cioè il fatto che si potesse avere una concezione del verbo come hanno i cristiani, all'interno di una visione invece che li conduceva inesorabilmente tutto ad un assoluto in quanto tale, in qualche misura invalicabile nella sua assolutezza, niente dentro che fosse da mediatore rispetto alla realtà.
Mi sembrano delle cose forse un po' troppo tecniche ma è per dare lo stile, questo stile del trovare delle comunicazioni interne per cui ciascuna componente confrontandosi con l'altra non ha bisogno di uscire da se stessa innanzi tutto e di rinunciare alla propria identità, ma anzi deve valorizzarla a fondo per potere incontrare semmai a fondo e  richiedere che vada a fondo l'interlocutore, è stato uno dei primi tratti salienti di questa fisionomia di giovane allora ricercatore in India (sollevò questo varie polemiche come suole quando si vanno a toccare temi così importanti nelle tradizioni) però, però a un certo punto si è accorto che questa operazione di attiva ibridazione della stima nel dialogo tra i partner, che sarebbe dovuta avvenire all'interno dell'induismo e del cristianesimo - ma che poteva poi essere estesa anche ad altre grandi tradizioni - lo spinse sempre più ad un lento accostamento a qualcosa che all'interno delle sue opere si scorge dapprima sotto forma di piccoli lampi intuitivi e poi divenne sempre più anche qui una specie di corrente di modalità di pensiero e su questo terreno credo che si apra ciò che può dare come contributo interessante ad una componente come questa che è fortemente legata, come dice il titolo, al pianeta terra, e uscire fuori dal discorso del rapporto tra le grandi correnti spirituali e provare a vedere se questo atteggiamento che si era adombrato nel dialogo tra induismo e cristianesimo poteva essere adoperato per qualcosa che, quale altra dimensione che urgeva e più vasta era?
Prima di arrivare a dirlo faccio un parallelo con quella che secondo me è stato una novità metodologica e paradigmatica in papa Francesco quando pubblicò la Laudato Si' perchè la tradizione cattolica aveva da lunghi anni, dalla Rerum Novarum in poi, prima in embrione, aveva costruito quello che si chiama la Dottrina sociale della Chiesa che era propiziata e propugnata da testi del Magistero che sono appunto le lettere encicliche sociali: Leone XIII poi ovviamente Pio X, XI,XII,  poi papa Giovanni XXIII, Pacem in terris enciclica sociale, e poi Giovanni Paolo II. Giovanni Paolo II aveva fatto un'operazione quasi di scavalcamento metodologico rispetto alle encicliche sociali precedenti, difatti se voi prendete la Laborem Exercens e la guardate nell'introduzione vedete che si dice - una cosa che un papa polacco che mi deve misurare le parole quando parla di queste cose perché è stato sotto regimi socialisti - dice: se io scrivo queste lettere (di solito avveniva così per le lettere encicliche sociali dei papi che facevano il riassunto di quella precedente per dire che cosa volevano aggiungere) se io scrivo questa lettera per... non è per dire ciò che già è stato detto ma per, forse, dire (quando un papa polacco dice forse traducete certamente, perché era certamente preoccupato del modo con cui sotto i regimi qualche piccolo cambiamento di posizione ti faceva uscire il giorno dopo sul quotidiano del partito: una spaccatura si è verificata nella Chiesa) qualcosa che non è stato detto finora e qui viene il salto metodologico, e qual è quella cosa che non era stata detta finora? Che il centro della questione sociale è il lavoro, urka, questo è Marx allo stato puro, solo che lui poi aggiunge: se però teniamo conto della persona umana, Marx questo non lo dice anzi lo condanna Marx; ma questo lo poteva fare un papa polacco, far mettere il lavoro al centro della questione sociale. Detto questo le encicliche sostanzialmente parevano avere esaurito il loro orizzonte perchè trovato il centro...invece papa Francesco (sembrava detta l'ultima parola), papa Francesco se guardate l'enciclica Laudato Si' parla pochissimo del lavoro perché il lavoro è diventato non più il centro, di che cosa? Non più della questione sociale, ma di un'altra realtà e qui si accosta Panikkar, cioè la sopravvivenza nel pianeta Terra e la questione sociale in qualche modo diviene un fattore che non è più il centro, il centro è spostato sulla vita sul pianeta Terra. Con questo passaggio di papa Francesco col suo stile non polemicamente pronunciato è finita la serie delle encicliche sociali dei papi. La questione sociale non è più il centro del problema ma è piuttosto la sopravvivenza sul pianeta Terra.
Panikkar ha operato questo a partire dagli anni settanta - ottanta del secolo passato quando si è accorto che c'era la necessità che la questione religiosa si ponesse una visione della religione in cui avveniva una riappropriazione di orizzonte paradigmaticamente più vasto di quello che era fondamentalmente il linguaggio tipico del discorso religioso quale l'antropocentrismo, la centralità dell'uomo. L'antropocentrismo, oppure detto con un termine che è molto spesso oggetto di polemica da parte di Raimon Panikkar, che è l'umanesimo. Piuttosto, si diceva, bisogna trovare una centralità nuova e questa centralità nuova è una centralità complessa secondo Panikkar, non può più essere vista da un punto solo; lui parla in termini di triade e la chiama trinità del considerare le cose e cioè Dio-uomo-cosmo. Questa sorta di trinità prospettica diviene il centro di attenzione da quel momento in poi, sotto varie sfumature, con riferimenti di vario genere, complicatissimi, ha scritto migliaia di articoli della ricerca di Raimon Panikkar e con tutta una serie di specificazioni, di qui la parola che dicevo all'inizio, che ha solo il difetto, se così si può dire, di essere su base radice greca ma dice la stessa cosa, Cosmoteandrica vuol dire Cosmo cioè l'Universo, Theós-Dio, anér-l'uomo, uomo  indifferenziato che non è  maschio  femmina, l'uomo-l'umanità, cioè una prospettiva che sia cosmoteandrica perché bisogna che sia in grado di abbracciare una serie di relazioni più vaste che non quelle semplicemente di riferimento all'uomo ma che recuperi un rapporto con quella immensa sconfinata realtà che è il cosmo materiale, sembrerebbe essere solo materiale, e poi con quello che è la visione di Dio troppo legata e dipendente da quello che è il destino dell'uomo nel rapporto con Dio e di Dio in rapporto con l'uomo e quindi la storia umana.
Questo per dire qual è il salto metodologico che lo porta a ciò ma dentro questo grande contenitore stanno poi una serie di altre cose che ne fanno parte.

Prima però di dire quelle altre cose, dico che cosa può servire questo per un gruppo come voi, io dico cosa Panikkar dice dell'ecologia che forse da l'idea di ciò che lui pensa e di cosa potrebbe anche essere utile, credo, all'ecologia ascoltando questo pensatore che ritengo sia uno dei più significativi del ventesimo secolo anche se ha travalicato il terzo millennio novantenne. Ad esempio mi riferisco ad un particolare discorso che ha avuta molta risonanza in India, (anticipo però anche un'altra cosa: a Panikkar manca la Cina, mi dispiace per lui, direi in questo momento soprattutto il fecondissimo Vietnam pur essendo solo il 7% della popolazione, però è la Cina che deve stare zitta per il momento; guardate che l'alone di interesse per il cristianesimo in Cina può superare i 200 milioni, non è uno scherzo). Allora stando all'alveo, così caro a Panikkar, dell'India, il primo presidente che l'India ha avuto dopo l'indipendenza che era Radhakrishnan il quale aveva una vastissima cultura, si era formato in occidente, in Inghilterra e tenne alcuni discorsi ad Oxford il cui titolo - ed è qui che si innesta quella visione finale di Panikkar - il cui titolo era di per sè eloquente; il titolo delle lezioni tenute a Oxford era “Pensiero occidentale e religione orientale”. Radhakrishnan in questo sottolineava un modo di intendere, di vedere la tradizione culturale dell'occidente come prevalentemente dominata dal razionalismo, dalla razionalità priva di religione ma un mondo in cui la ragione ha uno spazio totalizzante, razionalismo, well dimensional man, uomo ad una dimensione, la ragione. L'India invece aveva di suo la religione anche dentro il pensiero, cioè aveva questa visione integrata della ragione dentro la religione, questo modo semplificato di vedere le cose è contrastato appunto come affermava in partenza da Panikkar tantè che dirà un'osservazione molto corretta ancora oggi palmare, si può toccare con mano - ciò che stupisce gli studiosi occidentali - tu in India non hai uno storico, non esistono storici in India perché la visione della realtà storica è non significativa, significativo è ciò che tu esprimi attraverso splendidi miti o che altro, tu esprimi di ciò che è oltre la realtà, di cui la realtà è ombra, velo di Maya che si stende sopra; non hanno storici gli indiani e l'occidente invece ha gli storici e anche nella fede l'occidente ha speso battaglie sconfinate specialmente negli ultimi due secoli per capire Gesù Cristo attraverso la storia.
La dimensione storica è diventata fondamentale per capire il tutto. Panikkar dice, a differenza di Radhakrishnan, l'occidente non deve fare a meno dell'oriente ma l'oriente non può fare a meno dell'occidente.
Ecco, direi che Panikkar dovesse dire ad un gruppo di forte interesse per l'ecologia (e lo dice nelle sue opere) è di darsi un pensiero oltre la storia, ma che sia qualche cosa che dà il senso più generale dell'ecologia e non la traduce soltanto in termini di interventismo nel cambiare solo, ma, continuare a, avere un atteggiamento produttivistico - seppure migliorato rispetto alla realtà - ma piuttosto invece un atteggiamento ricettivo. Egli parla addirittura di un rinascita di un neo neo neo animismo, cioè considerare tutta la realtà come qualche cosa rispetto cui tu devi porti come discepolo e non solo come manager sia pure migliorato e migliorando.

Vi leggo i nove punti che egli consiglia a coloro che fanno ecologia e poi stop. Allora ci sono tre DE, cioè negazioni, e ci sono 5 SI.  I tre no: demonetizzare, debabelizzare e poi descientificare. Poi ci sono dei RI: riabbellire; ricosmicizzare; rianimare (neo-animismo), considerare che esiste in qualche modo vita anche nell'atomo, si tratta di recuperarlo non solo attraverso un tipo di vita che tu hai messo al centro finora dell'universo; ripacificare e ridivinizzare.

Questo procedimento di riassunzione venerativa della realtà tutta intera è quello che ci può consentire di concepire Dio non più distante o trascendente soltanto, ma veramente come la prospettiva religiosa, dice lui, dell'uomo del ventunesimo secolo, ma mica solo di un secolo ma possibilmente del futuro. 


.


Nessun commento:

Posta un commento