Il personaggio Raimon
Panikkar, personaggio che certamente in alcuni ambiti dei saperi è ultranoto
per una specifica corrente di pensiero a cui appartiene e in cui lui è persona
in un certo senso unica all'interno di quella corrente che poi cercherò di
spiegarvi e poi però questa persona ha inventato molte parole, forse in parte
in uso in ambito molto ristretto, in circolo molto ristretto di pensatori che
però dette come oggetto di una conferenza sarebbero proprio una condanna a
muerte: ecosofia e cosmoteandrica. Aprirei subito un'inchiesta per sapere
quanti dei presenti riuscirebbero a stendere una mezza paginetta su queste due
parole, ebbene nonostante la stranezza direi quasi un po' la provocatorietà
delle parole, questa persona io ritengo che ha alcune cose da dire che possono
essere utili a ciò che sembrerebbero essere così lontano dal suo modo di
esprimersi.
Cominciamo ad entrare
attraverso la vita, non vi faccio la biografia, vi dico però un punto
fondamentale della sua fisionomia che fa parte di quel contributo, quel filo
rosso di contributo alla linea che state portando avanti, lui è una persona che
ha avuto la condizione da lui intensamente vissuta di avere una madre cattolica
fervente e un padre indù fervente, e questi matrimoni misti sono abbastanza
diffusi nel mondo anche per altre combinazioni etniche però dipende sempre da
che cosa rappresenta la persona che li ha e li vive; lui ha fatto di questo una
sorta di vocazione nella sua vita a cui dare una soluzione che non fosse
omissiva nè dell'uno nè dell'altro e difatti un punto di partenza fondamentale
della sua ricerca spirituale va sotto l'insegna di quella che noi chiameremmo
attraverso un linguaggio, molto diffuso anche in occidente, le strategie del
dialogo interreligioso.
E su questo dialogo interreligioso ha cominciato subito con un'opera che ha avuto una forza d'urto dirompente all'interno del mondo sia indù sia cristiano, non semplicemente solo cattolico e il titolo del libro sembra un po' esoterico ma molto interessante. E' un titolo che dice che nei testi sacri dell'Induismo esiste una allusione a Gesù Cristo, intendendo con questo che intanto compiva un'opera che ancora oggi costituisce un po' di difficoltà; quando noi diciamo le religioni del libro in genere pensiamo a tre religioni, pensiamo evidentemente all'ebraismo, al cristianesimo e all'islam, invece c'è tutta una corrente di pensiero anche all'interno dell'Induismo, e anche fuori, le quali stanno riscattando il valore di religione del libro anche ad altre grandi tradizioni. Ora nell'induismo il libro è un complesso di libri che si chiamano i Veda. Quest'uomo che aveva una conoscenza profonda della lingua originale, in questo caso il sanscrito, trovò all'interno di un passaggio importante di alcuni testi dei Veda che c'era una allusione che poteva essere accostata a ciò che dice il Vangelo di Giovanni nel famoso prologo: “In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e Dio era il Verbo, questo era in principio presso Dio”, egli trovò che il modo con cui all'interno di alcuni libri veniva trattata la figura di Iśvara era la figura proprio che andava incontro a far capire agli indù una cosa che gli indù di primo acchito assolutamente non riuscivano ad accettare e cioè il fatto che si potesse avere una concezione del verbo come hanno i cristiani, all'interno di una visione invece che li conduceva inesorabilmente tutto ad un assoluto in quanto tale, in qualche misura invalicabile nella sua assolutezza, niente dentro che fosse da mediatore rispetto alla realtà.
E su questo dialogo interreligioso ha cominciato subito con un'opera che ha avuto una forza d'urto dirompente all'interno del mondo sia indù sia cristiano, non semplicemente solo cattolico e il titolo del libro sembra un po' esoterico ma molto interessante. E' un titolo che dice che nei testi sacri dell'Induismo esiste una allusione a Gesù Cristo, intendendo con questo che intanto compiva un'opera che ancora oggi costituisce un po' di difficoltà; quando noi diciamo le religioni del libro in genere pensiamo a tre religioni, pensiamo evidentemente all'ebraismo, al cristianesimo e all'islam, invece c'è tutta una corrente di pensiero anche all'interno dell'Induismo, e anche fuori, le quali stanno riscattando il valore di religione del libro anche ad altre grandi tradizioni. Ora nell'induismo il libro è un complesso di libri che si chiamano i Veda. Quest'uomo che aveva una conoscenza profonda della lingua originale, in questo caso il sanscrito, trovò all'interno di un passaggio importante di alcuni testi dei Veda che c'era una allusione che poteva essere accostata a ciò che dice il Vangelo di Giovanni nel famoso prologo: “In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e Dio era il Verbo, questo era in principio presso Dio”, egli trovò che il modo con cui all'interno di alcuni libri veniva trattata la figura di Iśvara era la figura proprio che andava incontro a far capire agli indù una cosa che gli indù di primo acchito assolutamente non riuscivano ad accettare e cioè il fatto che si potesse avere una concezione del verbo come hanno i cristiani, all'interno di una visione invece che li conduceva inesorabilmente tutto ad un assoluto in quanto tale, in qualche misura invalicabile nella sua assolutezza, niente dentro che fosse da mediatore rispetto alla realtà.
Mi sembrano delle cose forse
un po' troppo tecniche ma è per dare lo stile, questo stile del trovare delle
comunicazioni interne per cui ciascuna componente confrontandosi con l'altra
non ha bisogno di uscire da se stessa innanzi tutto e di rinunciare alla
propria identità, ma anzi deve valorizzarla a fondo per potere incontrare
semmai a fondo e richiedere che vada a
fondo l'interlocutore, è stato uno dei primi tratti salienti di questa
fisionomia di giovane allora ricercatore in India (sollevò questo varie
polemiche come suole quando si vanno a toccare temi così importanti nelle
tradizioni) però, però a un certo punto si è accorto che questa operazione di
attiva ibridazione della stima nel dialogo tra i partner, che sarebbe dovuta
avvenire all'interno dell'induismo e del cristianesimo - ma che poteva poi
essere estesa anche ad altre grandi tradizioni - lo spinse sempre più ad un
lento accostamento a qualcosa che all'interno delle sue opere si scorge
dapprima sotto forma di piccoli lampi intuitivi e poi divenne sempre più anche
qui una specie di corrente di modalità di pensiero e su questo terreno credo
che si apra ciò che può dare come contributo interessante ad una componente
come questa che è fortemente legata, come dice il titolo, al pianeta terra, e
uscire fuori dal discorso del rapporto tra le grandi correnti spirituali e
provare a vedere se questo atteggiamento che si era adombrato nel dialogo tra
induismo e cristianesimo poteva essere adoperato per qualcosa che, quale altra
dimensione che urgeva e più vasta era?
Prima di arrivare a dirlo
faccio un parallelo con quella che secondo me è stato una novità metodologica e
paradigmatica in papa Francesco quando pubblicò la Laudato Si' perchè la
tradizione cattolica aveva da lunghi anni, dalla Rerum Novarum in poi,
prima in embrione, aveva costruito quello che si chiama la Dottrina sociale
della Chiesa che era propiziata e propugnata da testi del Magistero che
sono appunto le lettere encicliche sociali: Leone XIII poi ovviamente Pio X,
XI,XII, poi papa Giovanni XXIII, Pacem
in terris enciclica sociale, e poi Giovanni Paolo II. Giovanni Paolo II
aveva fatto un'operazione quasi di scavalcamento metodologico rispetto alle
encicliche sociali precedenti, difatti se voi prendete la Laborem Exercens
e la guardate nell'introduzione vedete che si dice - una cosa che un papa
polacco che mi deve misurare le parole quando parla di queste cose perché è
stato sotto regimi socialisti - dice: se io scrivo queste lettere (di solito avveniva
così per le lettere encicliche sociali dei papi che facevano il riassunto di
quella precedente per dire che cosa volevano aggiungere) se io scrivo questa
lettera per... non è per dire ciò che già è stato detto ma per, forse, dire
(quando un papa polacco dice forse traducete certamente, perché
era certamente preoccupato del modo con cui sotto i regimi qualche piccolo
cambiamento di posizione ti faceva uscire il giorno dopo sul quotidiano del
partito: una spaccatura si è verificata nella Chiesa) qualcosa che non è stato
detto finora e qui viene il salto metodologico, e qual è quella cosa che non
era stata detta finora? Che il centro della questione sociale è il lavoro,
urka, questo è Marx allo stato puro, solo che lui poi aggiunge: se però teniamo
conto della persona umana, Marx questo non lo dice anzi lo condanna Marx; ma
questo lo poteva fare un papa polacco, far mettere il lavoro al centro della
questione sociale. Detto questo le encicliche sostanzialmente parevano avere
esaurito il loro orizzonte perchè trovato il centro...invece papa Francesco
(sembrava detta l'ultima parola), papa Francesco se guardate l'enciclica Laudato
Si' parla pochissimo del lavoro perché il lavoro è diventato non più il
centro, di che cosa? Non più della questione sociale, ma di un'altra realtà e
qui si accosta Panikkar, cioè la sopravvivenza nel pianeta Terra e la questione
sociale in qualche modo diviene un fattore che non è più il centro, il centro è
spostato sulla vita sul pianeta Terra. Con questo passaggio di papa Francesco
col suo stile non polemicamente pronunciato è finita la serie delle encicliche
sociali dei papi. La questione sociale non è più il centro del problema ma è
piuttosto la sopravvivenza sul pianeta Terra.
Panikkar ha operato questo a partire dagli anni settanta - ottanta del secolo passato quando si è accorto che c'era la necessità che la questione religiosa si ponesse una visione della religione in cui avveniva una riappropriazione di orizzonte paradigmaticamente più vasto di quello che era fondamentalmente il linguaggio tipico del discorso religioso quale l'antropocentrismo, la centralità dell'uomo. L'antropocentrismo, oppure detto con un termine che è molto spesso oggetto di polemica da parte di Raimon Panikkar, che è l'umanesimo. Piuttosto, si diceva, bisogna trovare una centralità nuova e questa centralità nuova è una centralità complessa secondo Panikkar, non può più essere vista da un punto solo; lui parla in termini di triade e la chiama trinità del considerare le cose e cioè Dio-uomo-cosmo. Questa sorta di trinità prospettica diviene il centro di attenzione da quel momento in poi, sotto varie sfumature, con riferimenti di vario genere, complicatissimi, ha scritto migliaia di articoli della ricerca di Raimon Panikkar e con tutta una serie di specificazioni, di qui la parola che dicevo all'inizio, che ha solo il difetto, se così si può dire, di essere su base radice greca ma dice la stessa cosa, Cosmoteandrica vuol dire Cosmo cioè l'Universo, Theós-Dio, anér-l'uomo, uomo indifferenziato che non è né maschio né femmina, l'uomo-l'umanità, cioè una prospettiva che sia cosmoteandrica perché bisogna che sia in grado di abbracciare una serie di relazioni più vaste che non quelle semplicemente di riferimento all'uomo ma che recuperi un rapporto con quella immensa sconfinata realtà che è il cosmo materiale, sembrerebbe essere solo materiale, e poi con quello che è la visione di Dio troppo legata e dipendente da quello che è il destino dell'uomo nel rapporto con Dio e di Dio in rapporto con l'uomo e quindi la storia umana.
Panikkar ha operato questo a partire dagli anni settanta - ottanta del secolo passato quando si è accorto che c'era la necessità che la questione religiosa si ponesse una visione della religione in cui avveniva una riappropriazione di orizzonte paradigmaticamente più vasto di quello che era fondamentalmente il linguaggio tipico del discorso religioso quale l'antropocentrismo, la centralità dell'uomo. L'antropocentrismo, oppure detto con un termine che è molto spesso oggetto di polemica da parte di Raimon Panikkar, che è l'umanesimo. Piuttosto, si diceva, bisogna trovare una centralità nuova e questa centralità nuova è una centralità complessa secondo Panikkar, non può più essere vista da un punto solo; lui parla in termini di triade e la chiama trinità del considerare le cose e cioè Dio-uomo-cosmo. Questa sorta di trinità prospettica diviene il centro di attenzione da quel momento in poi, sotto varie sfumature, con riferimenti di vario genere, complicatissimi, ha scritto migliaia di articoli della ricerca di Raimon Panikkar e con tutta una serie di specificazioni, di qui la parola che dicevo all'inizio, che ha solo il difetto, se così si può dire, di essere su base radice greca ma dice la stessa cosa, Cosmoteandrica vuol dire Cosmo cioè l'Universo, Theós-Dio, anér-l'uomo, uomo indifferenziato che non è né maschio né femmina, l'uomo-l'umanità, cioè una prospettiva che sia cosmoteandrica perché bisogna che sia in grado di abbracciare una serie di relazioni più vaste che non quelle semplicemente di riferimento all'uomo ma che recuperi un rapporto con quella immensa sconfinata realtà che è il cosmo materiale, sembrerebbe essere solo materiale, e poi con quello che è la visione di Dio troppo legata e dipendente da quello che è il destino dell'uomo nel rapporto con Dio e di Dio in rapporto con l'uomo e quindi la storia umana.
Questo per dire qual è il
salto metodologico che lo porta a ciò ma dentro questo grande contenitore
stanno poi una serie di altre cose che ne fanno parte.
Prima però di dire quelle
altre cose, dico che cosa può servire questo per un gruppo come voi, io dico
cosa Panikkar dice dell'ecologia che forse da l'idea di ciò che lui pensa e di
cosa potrebbe anche essere utile, credo, all'ecologia ascoltando questo
pensatore che ritengo sia uno dei più significativi del ventesimo secolo anche
se ha travalicato il terzo millennio novantenne. Ad esempio mi riferisco ad un
particolare discorso che ha avuta molta risonanza in India, (anticipo però
anche un'altra cosa: a Panikkar manca la Cina, mi dispiace per lui, direi in
questo momento soprattutto il fecondissimo Vietnam pur essendo solo il 7% della
popolazione, però è la Cina che deve stare zitta per il momento; guardate che
l'alone di interesse per il cristianesimo in Cina può superare i 200 milioni,
non è uno scherzo). Allora stando all'alveo, così caro a Panikkar, dell'India,
il primo presidente che l'India ha avuto dopo l'indipendenza che era
Radhakrishnan il quale aveva una vastissima cultura, si era formato in
occidente, in Inghilterra e tenne alcuni discorsi ad Oxford il cui titolo - ed
è qui che si innesta quella visione finale di Panikkar - il cui titolo era di
per sè eloquente; il titolo delle lezioni tenute a Oxford era “Pensiero
occidentale e religione orientale”. Radhakrishnan in questo sottolineava un
modo di intendere, di vedere la tradizione culturale dell'occidente come
prevalentemente dominata dal razionalismo, dalla razionalità priva di religione
ma un mondo in cui la ragione ha uno spazio totalizzante, razionalismo, well
dimensional man, uomo ad una dimensione, la ragione. L'India invece aveva
di suo la religione anche dentro il pensiero, cioè aveva questa visione
integrata della ragione dentro la religione, questo modo semplificato di vedere
le cose è contrastato appunto come affermava in partenza da Panikkar tantè che
dirà un'osservazione molto corretta ancora oggi palmare, si può toccare con
mano - ciò che stupisce gli studiosi occidentali - tu in India non hai uno
storico, non esistono storici in India perché la visione della realtà storica è
non significativa, significativo è ciò che tu esprimi attraverso splendidi miti
o che altro, tu esprimi di ciò che è oltre la realtà, di cui la realtà è ombra,
velo di Maya che si stende sopra; non hanno storici gli indiani e
l'occidente invece ha gli storici e anche nella fede l'occidente ha speso battaglie
sconfinate specialmente negli ultimi due secoli per capire Gesù Cristo
attraverso la storia.
La dimensione storica è diventata fondamentale per capire il tutto. Panikkar dice, a differenza di Radhakrishnan, l'occidente non deve fare a meno dell'oriente ma l'oriente non può fare a meno dell'occidente.
La dimensione storica è diventata fondamentale per capire il tutto. Panikkar dice, a differenza di Radhakrishnan, l'occidente non deve fare a meno dell'oriente ma l'oriente non può fare a meno dell'occidente.
Ecco, direi che Panikkar
dovesse dire ad un gruppo di forte interesse per l'ecologia (e lo dice nelle
sue opere) è di darsi un pensiero oltre la storia, ma che sia qualche cosa che
dà il senso più generale dell'ecologia e non la traduce soltanto in termini di
interventismo nel cambiare solo, ma, continuare a, avere un atteggiamento
produttivistico - seppure migliorato rispetto alla realtà - ma piuttosto invece
un atteggiamento ricettivo. Egli parla addirittura di un rinascita di un neo
neo neo animismo, cioè considerare tutta la realtà come qualche cosa rispetto
cui tu devi porti come discepolo e non solo come manager sia pure migliorato e
migliorando.
Vi leggo i nove punti che
egli consiglia a coloro che fanno ecologia e poi stop. Allora ci sono tre DE,
cioè negazioni, e ci sono 5 SI. I
tre no: demonetizzare, debabelizzare e poi descientificare. Poi ci sono dei RI:
riabbellire; ricosmicizzare; rianimare (neo-animismo), considerare che esiste
in qualche modo vita anche nell'atomo, si tratta di recuperarlo non solo
attraverso un tipo di vita che tu hai messo al centro finora dell'universo;
ripacificare e ridivinizzare.
Questo procedimento di riassunzione venerativa della realtà tutta intera è quello che ci può consentire di concepire Dio non più distante o trascendente soltanto, ma veramente come la prospettiva religiosa, dice lui, dell'uomo del ventunesimo secolo, ma mica solo di un secolo ma possibilmente del futuro.
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