di Barbara Debernardi |
venerdì 14 agosto 2015 |
CAMMINIAMO CANTANDO!
Che le nostre lotte e la nostra preoccupazione per questo pianeta con ci tolgano la gioiadella speranza. (Laudato si’, 244.)
Il 10 novembre dell’anno scorso quasi 300 cristiani valsusini appartenenti al movimento No Tav scrivevano a
Papa Francesco una lettera,
nella quale chiedevano di essere aiutati a trovare ascolto e di essere
ricevuti in occasione della vista che il Papa avrebbe fatto a Torino nel
mese di giugno.
A quell’appello accorato in apparenza
Papa Francesco non ha risposto. Nessuna telefonata è arrivata, nessun
invito per un incontro romano o torinese.
È però arrivata una Enciclica, che, per
quanto indirizzata a tutti gli abitanti di questa “casa comune” che è la
nostra Madre Terra, in realtà rappresenta oggi la risposta più alta,
autorevole ed appassionata a quel grido valsusino che risuona ormai da
25 anni, e che da 25 anni cerca di rompere quelle mura di silenzio,
diffidenza e indifferenza che hanno provato (per fortuna inutilmente!) a
costruire attorno alla Valle.
Certo, siamo tutti consapevoli che
l’Enciclica non è stata scritta “solo” per noi. Ma siamo altrettanto
consapevoli che in ogni suo paragrafo proprio di noi parla, proprio a
noi pensa, proprio noi incoraggia. Enciclica quindi che andrebbe letta e
meditata e riletta tutta, più volte e per intero. E che qui, dunque, ci
limitiamo a ripercorrere nei suoi passaggi più forti e scritti con
cuore e occhio più attentamente rivolti a “casa nostra”.
In 25 anni l’esperienza valsusina, nata come battaglia ambientalista, è cresciuta in competenza e consapevolezza.
Quella che è partita come difesa di un territorio ed è perciò stata immediatamente bollata come “sindrome Nimby”, è diventata con il tempo battaglia
per i diritti dei più deboli, denuncia dei poteri forti, richiesta di
giustizia, ricerca di un modo diverso di intendere il lavoro, il
progresso economico e la qualità dell’esistere.
Papa Francesco, partendo dall’esempio
del Santo di cui porta il nome, così fa eco a questa storia di
Valle: “In lui (San Francesco) si riscontra fino a che punto sono
inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i
poveri, l’impegno nella società e la pace interiore.” (LS, 10)
e quindi
“… un vero approccio ecologico diventa
sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle
discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra,
quanto il grido dei poveri.” (LS, 49)
In un quarto di secolo l’impegno del nostro territorio contro un’opera devastante e inutile ha dovuto fare i conti con il disinteresse dei più, con l’accusa di essere retrogradi e contro il progresso.
Anche di queste difficoltà Papa
Francesco dimostra di essere perfettamente cosciente: “Purtroppo, molti
sforzi per cercare soluzioni concrete alla crisi ambientale sono spesso
frustrati non solo dal rifiuto dei potenti, ma anche dal disinteresse
degli altri. Gli atteggiamenti che ostacolano le vie di soluzione, anche
fra i credenti, vanno dalla negazione del problema all’indifferenza,
alla rassegnazione comoda o alla fiducia cieca nelle soluzioni
tecniche.” (LS, 14)
E così ancora: “Nessuno vuole tornare
all’epoca delle caverne, però è indispensabile rallentare la marcia per
guardare la realtà in un altro modo, raccogliere gli sviluppi positivi e
sostenibili, e al tempo stesso recuperare i valori e i grandi fini
distrutti da una sfrenatezza megalomane.” (LS, 114)
Il tentativo pluridecennale di cittadini
e amministratori di accedere ai dati, di poter discutere realmente nel
merito dei progetti, di ricevere e fornire una corretta informazione
è stato costantemente in salita, ha dovuto fare i conti con miopia,
omertà e meditata distorsione della realtà. Ma anche a questo proposito
Papa Francesco parla a noi, parla di noi: “Occorre assicurare un
dibattito scientifico e sociale che sia responsabile e ampio, in grado
di considerare tutta l’informazione disponibile e di chiamare le cose
con il loro nome. A volte non si mette sul tavolo
l’informazione completa, ma la si seleziona secondo i propri interessi,
siano essi politici, economici o ideologici … E’ necessario disporre di
luoghi di dibattito in cui tutti quelli che si potrebbero vedere
direttamente o indirettamente coinvolti … possano esporre le loro
problematiche o accedere ad un’informazione estesa e affidabile per
adottare decisioni orientate al bene comune presente e futuro.” (LS,
135)
Inoltre: “La previsione dell’impatto
ambientale delle iniziative imprenditoriali e dei progetti richiede
processi politici trasparenti e sottoposti al dialogo, mentre la
corruzione che nasconde il vero impatto ambientale di un progetto in
cambio di favori, spesso porta ad accordi ambigui che sfuggono al dovere
di informare e a un dibattito approfondito.
Uno studio di impatto ambientale non dovrebbe essere successivo alla elaborazione di un progetto produttivo o di qualsiasi politica, piano o programma. Va
inserito fin dall’inizio e deve essere elaborato in modo
interdisciplinare, trasparente e indipendente da ogni pressione
economica o politica. Deve essere connesso con l’analisi delle
condizioni di lavoro e dei possibili effetti sulla salute fisica e
mentale delle persone, sull’economia locale, sulla sicurezza
…
Nel dibattito devono avere un posto
privilegiato gli abitanti del luogo, i quali si interrogano su ciò che
vogliono per sé e per i propri figli, e possono tenere in considerazione
le finalità che trascendono l’interesse immediato …
La partecipazione richiede che tutti
siano adeguatamente informati sui diversi aspetti e sui vari rischi e
possibilità e non si riduce alla decisione iniziale su un progetto …
C’è bisogno di sincerità e
verità nelle discussioni scientifiche e politiche, senza limitarsi a
considerare che cosa sia permesso o meno dalla legislazione … “ (LS, 182-183)
In questa prospettiva, come Papa
Francesco evidenzia e come la comunità valsusina ha sempre sostenuto,
vivendolo in prima persona, è fondamentale il ruolo dei cittadini, degli abitanti di un luogo, della cosiddetta “società civile”: “L’istanza locale può fare la differenza.
È lì infatti che possono nascere una maggiore responsabilità, un forte
senso comunitario, una speciale capacità di cura e una creatività più
generosa, un profondo amore per la propria terra, come pure il pensare a
quello che si lascia ai figli e ai nipoti.” (LS, 179)
Questo impegno in prima persona, spesso
vissuto in modo totale e radicale, ha fatto si che il movimento No Tav
valsusino venisse bollato di eccessiva radicalità, di ingiustificato
appello alla resistenza, di estremismo.
Ma Papa Francesco non è meno tranchant,
nel momento in cui non solo giustifica l’uso di legittimi strumenti di
pressione, ma specifica che in certi contesti le vie di mezzo non sono
altro che un modo di rallentare il disastro.
E infatti scrive: “E’ lodevole l’impegno
di organizzazioni della società civile che sensibilizzano le
popolazioni e cooperano in modo critico, anche utilizzando legittimi meccanismi di pressione,
affinché ogni governo adempia il proprio e non delegabile dovere di
preservare l’ambiente e le risorse naturali del proprio Paese, senza
vendersi a ambigui interessi locali o internazionali.” (LS, 38)
Infatti: “Senza la pressione della popolazione … ci saranno sempre resistenze ad intervenire.” (LS, 181)
E poiché: “La cultura ecologica …
dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un
programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano
forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico.”
(LS, 111), si deve prendere atto che: “Non basta conciliare in una via
di mezzo, la cura per la natura con la rendita finanziaria, o la
conservazione dell’ambiente con il progresso. Su questo tema le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro. Semplicemente si tratta di ridefinire il progresso.
Uno sviluppo tecnologico ed economico che non lascia un mondo migliore e
una qualità di vita integralmente superiore, non può considerarsi
progresso. “ (LS, 194)
E la conclusione dell’Enciclica non
poteva essere più adeguata al determinato, pacifico e gioioso cammino di
questo nostro quarto di secolo:
“CAMMINIAMO CANTANDO!
Che le nostre lotte e la nostra preoccupazione per questo pianeta con ci tolgano la gioia della speranza.” (LS, 244.)